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Ci siamo abituati: quando davanti rallentano, l’Inter accosta e spegne il motore. La squadra nerazzurra (per l’ennesima volta) spreca la prima frazione di gioco e perde la ghiotta occasione di riagganciare il treno europeo. Nel secondo tempo, Mancini rivede e corregge le proprie imprudenze tattiche, giusto in tempo per riacciuffare il pareggio e non perdere ulteriore terreno.
Partita troppo delicata quella contro i biancocelesti, tra vittoria e sconfitta non v’alberga alcun limbo: o le vette più alte dell’entusiasmo o lo strapiombo più severo. E allora ci si aspettava che Mancini ripartisse dalle poche certezze accumulate nel primo periodo post Mazzarri. La partita contro il Chievo aveva certificato che la squadra potesse esprimersi meglio con il rombo a centrocampo, visto e considerato che gli esterni offensivi richiesti dal tecnico arriveranno solo dopo il mercato di riparazione (forse). Invece Roberto Mancini cambia molto, probabilmente troppo, confondendo le idee a tutti, ma soprattutto ai suoi. Inter-Lazio non poteva e non doveva essere l’ennesimo esperimento verso il calcio che verrà, soprattutto considerando che in campo non ci sono undici Archimede, ma al massimo una discreta manovalanza per cercare di arrangiarsi.
L’Inter si dispone sul terreno di gioco col vestito cucito male addosso: tira e fa difetto da tutte le parti, tanto che dopo 45 minuti si presenta già a brandelli con due squarci mica da ridere, causati dalle accelerazioni dell'incontebile Felipe Anderson. Sbagliata la scelta di lasciare fuori Medel dall’undici titolare perché la mediana con Kovacic e Guarin non garantisce alcun sostegno, né agli esterni né ai centrali difensivi, e sia sulla prima che sulla seconda rete subita, si possono notare errori di superficialità e di posizionamento proprio da parte delle due mezzali. Al secondo minuto steccano contemporaneamente Kovacic, Kuzmanovic e Ranocchia, mentre in occasione del raddoppio laziale, ancora il numero 23, va a tentare un improbabile anticipo con la squadra completamente protesa in attacco. Ne consegue il contropiede dello 0-2. Il capitano nerazzurro conferma di essere una certezza. Per gli attaccanti avversari.
Anche Nagatomo e Dodo si comportano malissimo sulla stessa fascia e per 45 minuti si pestano i piedi generando confusione. Viene bocciato il brasiliano, richiamato in panchina per riequilibrare la squadra e inserire Medel. Ma il giapponese non aveva sicuramente fatto meglio di lui. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, possiamo affermare che l’Inter esce da questa esperienza con una certezza in più: Dodo e Nagatomo sono come Cochi e Renato, in coppia possono anche andar bene, ma al massimo al teatro, mai sulla stessa fascia di appartenenza.
Bravo Mancini ad ammettere i propri errori iniziali e correggerli giusto in tempo per evitare un tonfo che avrebbe emesso un frastuono assordante. Tuttavia, dal tecnico jesino ci si aspetta più esperienza in queste occasioni e soprattutto meno ostinazione nell’insistere in soluzioni tattiche al momento impraticabili e improponibili. In conferenza stampa il tecnico difende le sue scelte dicendo:”non è un problema di modulo, possiamo giocare con o senza Medel.” Ma forse la verità si nasconde dietro altri concetti e non in questa affermazione, in parte vera, ma non del tutto.
Le reti di Kovacic e Palacio trasformano la serata e allietano il triste finale che andava via via concretizzandosi. Il croato disegna su tela un'opera d'arte di valore inestimabile, quanto per bellezza, che per importanza. Il gesto tecnico è di quelli che ti fanno stropicciare gli occhi per cinque minuti. Gioia anche per il "trenza", uscito da un incubo che durava da oltre 200 giorni. L'ultimo gol in campionato lo aveva messo a segno proprio contro la Lazio, finalmente si chiude il cerchio. Finalmente è tornato Rodrigo Palacio.
Pasquale Guarro
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