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Strama: “Contro la Juve la mia Inter non vinse per caso. Il progetto giovani e l’addio…”

La storia di Andrea Stramaccioni all’Inter comincia così. E lui l’ha raccontata ai Signori del Calcio, su Sky Sport. L’allenatore dell’Udinese torna sulla sua esperienza in nerazzurro e racconta di quando è entrato negli...

Alessandro De Felice

La storia di Andrea Stramaccioni all'Inter comincia così. E lui l'ha raccontata ai Signori del Calcio, su Sky Sport. L'allenatore dell'Udinese torna sulla sua esperienza in nerazzurro e racconta di quando è entrato negli spogliatoi e si è trovato davanti gente come Milito e Zanetti: "Io però cercavo di pensare a loro come se fossero dei ruoli, come se fossero giocatori normali che dovevano fare i movimenti che volevo. E loro mi hanno aiutato tantissimo", racconta. E poi apre l'album dei ricordi interisti: 

LA PRIMAVERA - "L'esordio con l'Inter, ero molto emozionato. Prima panchina internazionale. Il primo tempo finisce sei a zero per il Tottenham. Non facevo in tempo ad alzarmi dalla panchina che ci facevano un gol. Immaginate questo mio approccio col mondo Inter. Il gelo sul pullman che ci portava a Milano. Mi raccontarono molto tempo tempo che Moratti, che si informava sui risultati dei giovani, mi raccontarono che il presidente disse, questa qui è la squadra dell'allenatore, questo è quello bravo? Poi nello stadio in cui abbiamo perso all'esordio ci siamo giocati la finale con l'Ajax e dopo sei mesi abbiamo vinto la CL dei giovani. Una cosa particolarissima". 

LA CHIAMATA DI MORATTI - "Atterrammo da Londra il lunedì. Onestamente, mi ero svegliato con qualche ora di ritardo, per via della nottata. Trovai tantissime chiamate di Piero Ausilio, lo richiamai e gli dissi: 'Direttore, cos’è successo?'. E lui: 'Il Presidente si è messo in testa un’idea strana. Se ti dovesse chiamare…'. Ed io: 'Ma per cosa?'. E lui: 'Ha in mente di darti la prima squadra'. Mi ritrovai in un ufficio legale e c’era un tavolo con un posto libero di fronte al Presidente Moratti. C’erano anche Marco Branca, Piero Ausilio e Angelo Mario, il figlio del Presidente. Cominciò una lunghissima chiacchierata di quasi quaranta minuti in cui parlammo della prima squadra, di come l’avrei fatta giocare se fossi stato l’allenatore, una chiacchierata bellissima alla fine della quale si abbassò un po’ l’occhiale, come faceva lui, e disse: 'Senta, non me ne frega niente di quello che penseranno, lei è il nuovo allenatore dell’Inter'. E io sono cascato dalla sedia". 

LE PAROLE DI MILITO - "Mi ricordo quello che mi disse il giorno prima della partita con il Genoa. Mi ha detto mister stiamo facendo bene, ci hai ridato entusiasmo, ci sentiamo forti e domenica vinciamo. Abbiamo vinto con un gol di vantaggio in una gara difficile, ma è stata una partita da ricordare".

IL DERBY - "La vittoria con il Milan mi ha fatto credere nel progetto. A Maicon sono ancora molto legato. Il suo 4 a 2, l'abbraccio che mi dà rimane nei miei ricordi più belli".

LA JUVE - "Arrivare alla partita con la Juve con lo JS inviolato e giocare in quella maniera, è stato un passaggio chiave. La Juventus era superiore a noi. Ma non dovevamo pensare di difenderci. Il modo per metterli in difficoltà era attaccarli. Cosa che nessuno aveva fatto. E quindi ho chiamato la sera prima in albergo Milito, Cassano e Palacio gli trasmisi la mia idea. Ma gli dissi che potevo avere cento idee, ma ci dovevamo credere insieme altrimenti fallivamo. In quei momenti campioni così ti danno risposte. Mi ricordo gli occhi di Diego. Palacio era più timido. Cassano mi disse, ci crediamo tanto. E ce la giochiamo. Il giorno dopo non abbiamo solo vinto, ma abbiamo giocato una grande partita". 

IL GIRO DI BOA - "Ho pensa tante volte a cosa sia successo. Siamo arrivati a ridosso della Juve. Magari non avevamo le armi per lo scudetto, ma potevamo lottare per i primi posti. Avevamo dimostrato negli scontri diretti con Juve e Milan, Fiorentina, Napoli, le avevamo battute, non eravamo il frutto della casualità. Credo che il primo motivo sia stato aver perso giocatori chiave nello spogliatoio come Sneijder. Ed è poi inevitabile, secondo me, che nel momento in cui la presidenza Moratti, si percepiva potesse essere ad un bivio epocale e che potesse cedere le quote interamente o in parte, io credo che alcune parti della società si sono destabilizzate. Nel momento di difficoltà, avere anche l'incertezza su colui che aveva lanciato il progetto dell'azienda, insomma questo mix ha portato ad una situazione irrecuperabile".

IL PROGETTO GIOVANI - "Nelle prime settimane di addio all'Inter sono stato male a livello interiore. Con il presidente fino ad una settimana prima parlavamo di giovani, della squadra del futuro. Credevo nel progetto, credevo nei ragazzi: era arrivato Kovacic, avevo voluto tanti giocatori, avevamo preso Icardi. C'erano le basi per poter fare tutto. Avevamo già parlato di quanti giocatori della Primavera potessero tornare alla base. Aveva fatto bene Duncan, Mbaye. Cercavamo insomma un modo di fare quello che non eravamo riusciti a fare nell'anno precedente". 

ADDIO - "La fine è stata molto difficile per me. E' stato triste, ma diciamo che questo lavoro è fatto così. Ho staccato totalmente e ho studiato. Sono andato da Guardiola e da Ancelotti per vedere il loro lavoro, ho studiato anche l'inglese a Los Angeles". 

UN PEZZETTO - "Nel mio cuore ci sarà sempre uno spicchio nerazzurro. Questo non vuol dire che ci tornerò. Mi fa felice che i tifosi mi rispettino e mi dicano che ho fatto tanto per l'Inter, ho fatto quello che ho potuto ma non necessariamente tornerò ad allenare l'Inter. Adesso sono ad Udine ed è qui che vedo il mio futuro".