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Stramaccioni riparte da Udine, proprio la squadra che segnò il suo addio all’Inter. Il tecnico romano rilascia una bella e lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, queste le sue parole:
“contro l’Udinese è stata a mia ultima partita, ma quella gara significò poco per il mio futuro. Non avevamo obiettivi e giocavamo contro la squadra più in forma del campionato, comunque non credo proprio che fu la partita contro i friulani a pregiudicare il mio futuro. La verità è che mi incontrai con Moratti prima della partita contro la Lazio e mi comunicò che avrebbe venduto l’Inter, in quel momento ho capito che ero finito anche io. Con lui avevo un rapporto intenso, quasi paterno nei miei confronti, ricordo che dopo la sfuriata negli spogliatoi per la gara contro il Torino, mi chiamò di notte per invitarmi a cena a casa sua il giorno seguente. Eravamo così. A Udine voglio far bene anche per dimostrargli che non si sbagliava, durante l’estate ci siamo sentiti spesso e gli dicevo:”pres" compri una squadra e ricominciamo insieme, lui mi rispondeva di tenermi pronto. Per quanto riguarda la mia Inter posso dire che fino a gennaio abbiamo remato tutti dalla stessa parte, c’era unità d’intenti, che poi è andata scemando perché c’era in arrivo un terremoto. Il mio rimpianto più grande è stato proprio quello di non aver potuto dare seguito all’ottimo girone d’andata, dove avevamo giocato bene e battuto le squadre più forti. Ricordo l’intervallo contro la Juventus, negli spogliatoi eravamo tutti infuriati per i torti arbitrali e urlai anche io:ragazzi abbiamo tutta una settimana per lamentarci, ma per vincere ci restano 45 minuti. Tornammo in campo e vincemmo alla grande. Col presidente mi lamentai di alcuni calciatori e gli esposi il mio progetto per la nuova Inter, ma lui di fatto, rispondendomi che avrebbe venduto, mi fece capire che non avrebbe potuto appoggiarmi. Giusto che il nuovo presidente abbia scelto il suo allenatore o che quanto meno lo abbia fatto scegliere all’unico suo uomo di fiducia rimasto in società. Comunque il mio rapporto con i tifosi è sempre stato speciale, non mi hanno mai contestato, forse perché ci mettevo la faccia e difendevo i colori contro il resto d’Italia. Conservo ancora la maglia con scritto: sciacquatevi la bocca. L’Inter resterà sempre in un angolo prezioso del mio cuore.Il tecnico romano parla anche di Dejan Stankovic: il nostro rapporto è nato dopo la partita contro il Parma, lo tolsi dal campo, ma il guerriero voleva ancora lottare e si infuriò. Il giorno dopo venne da me e mi disse:”mister avevi ragione tu, mi opero al tendine” e subito ci abbracciammo. Poi si infortunò contro il Catania e persi un uomo importante per lo spogliatoio. La sera che l’ho chiamato per dirgli di Udine non mi ha neanche fatto finire di parlare:”io ci sono” e il giorno dopo era già a Udine. Il discorso ritorna sull’Inter:”la lite con Cassano? Antonio aveva iniziato molto bene, poi con l’inizio delle difficoltà qualcosa si è rotto, ma ci siamo detti tutto in faccia. Alla nostra maniera”. diverso il discorso per Kovacic:”lui è il più grande talento del calcio italiano, sono contento di aver rotto tanto le scatole a Moratti per farlo comprare e di avergli lasciato questo regalo. Con lui mi sento ogni tanto.
Dopo l’esonero:”sono andato a studiare i top e ho imparato da Ancelotti e Guardiaola. Al primo ho chiesto il perché in carriera avesse cambiato tanti moduli, mi ha risposto che il bravo allenatore cuce il vestito intorno alla squadra che ha. Mentre di Guardiola apprezzo il fatto che abbia saputo imporre la mentalità spagnola in un contesto così diverso, con lui mi sono sentito di recente per scambiarmi consigli sugli acquisti. Il mio allenatore di riferimento rimane sempre Luciano Spalletti, ricordo quando lo spiavo dalle siepi di Trigoria. Dopo il gol di Guarin contro il Napoli, su schema d’angolo, mi chiamò e mi disse:”te tu ormai sei allenatore”.
Capitolo udinese:”qui si sta bene, la gente vive il calcio con equilibrio e dalla mia terrazza vedo la bandiera della squadra sventolare vicina al castello. La mia bandiera. La famiglia Pozzo trasmette pienamente il senso della parola progetto, qui questa parola non è vuota. Ho la sensazione di essere il vertice fisico di un’organizzazione studiata nei dettagli. I sistemi di scouting e la tecnologia per la preparazione toccano livelli d’avanguardia che non ho trovato all’Inter e alla Roma e poi per la prima volta ho un’equipe di lavoro tutta mia. All’Inter ho lavorato con chi c’era. Non sono preoccupato dei senatori dell’Udinese, al contrario, Danilo, Totò, Pinzi e Domizzi sono i trascinatori dell’intero gruppo. Di Natale mi ha dato grandi segnali, gli ho detto: voglio che tu sia il mio capitano, devi stare accanto a me. Credevo prendesse male gli allenamenti al mattino, invece quando arrivo lo trovo già al tavolo a fare colazione. Poi c’è Muriel, attaccante da top club, il suo unico limite è se stesso.
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