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Tormentarsi, correre, sognare con i piedi piantati per terra. Diventare Javier Zanetti

Eva A. Provenzano

Suo padre si commuove quando ricorda quei giorni in cui gli disse: “Mi hanno chiamato dall’altra parte del mondo, cosa faccio, vado?“. Sapeva che il suo Javier avrebbe detto si. Quel bambino piccolo e fragile era diventato grande...

Suo padre si commuove quando ricorda quei giorni in cui gli disse: "Mi hanno chiamato dall'altra parte del mondo, cosa faccio, vado?". Sapeva che il suo Javier avrebbe detto si. Quel bambino piccolo e fragile era diventato grande e stava per dire si all'Inter. Si era prima tormentato, stava per mollare tutto, si era messo a fare consegne con la sua bicicletta, gli avevano detto no, che non sarebbe mai diventato un bravo giocatore e stava per dargli ragione. Poi decise di riprovare. Decise, alle 4 del mattino di uno dei suoi giorni qualunque, che no, si sbagliavano. Grazie al cielo. Perché Pupi è passato dal Tallares al Banfield e impegnandosi ogni giorno il triplo di quello che fa un qualsiasi atleta è diventato uno dei più grandi giocatori della storia nerazzurra. Non ha mai smesso di correre. 

Il capitano, difficile abituarsi a chiamarlo in maniera diversa, ha invitato i giornalisti all'anteprima del film a lui dedicato: 'Javier Zanetti, capitano da Buenos Aires". E la prima immagine che si vede sullo schermo è un botto al cuore: è il cinque maggio, proprio quello. Il giorno della disfatta più amara per lui e per tutti gli interisti, quello in cui ha imparato che il suo destino era nerazzurro, quello nel quale ha capito che "La peggior sconfitta non è perdere. La peggior sconfitta è non averci provato". E poi, subito dopo, i giorni in cui il Real gli chiese di trasferirsi in Spagna e Paula, l'amore di tutta una vita, gli disse che no, che andare a Madrid poteva garantirgli tante vittorie, ma restare e vincere con l'Inter sarebbe stato diverso. E' rimasto ed è entrato nella leggenda: ha dovuto darle ragione.

Il film del duo Sigon-Scafidi (prodotto dall'Inter, che sarà proiettato in tutti i principali cinema italiani solo il 27 febbraio alle 20:30) è tenuto insieme dal racconto dello scrittore Albino Guaron che ha parlato di Zanetti e del suo essere speciale pur essendo un uomo normale. Il documentario è un ritratto fatto con gli occhi di chi lo ha conosciuto in un modo o nell'altro. Mazzola e Moratti si contraddicono quando raccontano il perché del suo sbarco a Milano: "L'Inter voleva un centravanti argentino, Rambert, ma avevano chiesto tanti soldi e allora, come spesso si fa, potrei citare altri casi, ci inventammo qualcosa per prendere il giocatore, mettendo sul piatto un'offerta più alta e prendendo anche Zanetti che era stato visto dagli osservatori, lo abbiamo preso come giunta", dice Sandrino. L'ex presidente ha un'altra idea: "No, è arrivato come quello che doveva venire. Rambert era l'optional, Javier lo abbiamo scelto perché venisse qua. E mi ricordo che Il Giornale scrisse che era il solito bidone scelto da Moratti che durerà qualche mese e poi tornerà al suo Paese. Mi aveva incantato questo terzino e il suo modo di dribblare fantastico".

Il suo allenatore al Banfield dice di lui: "I giocatori si distinguono in bravi giocatori e quelli che si differenziano dagli altri. Lui era un distinto". Uno di quelli che hanno qualcosa in più nell'anima e nelle scarpe. "Voi lo vedete così, ma è un pazzo", sostiene Ivan Ramiro Cordoba. Ma anche "l'antidoto alla follia dell'Inter" (Michele Serra) perché era l'unico che restava lì, immobile, sempre uguale come il suo ciuffo, anche quando tutto sembrava andare in mille pezzi. Roby Baggio ricorda: "Aveva qualcosa in più degli altri, era uno pulito in tutti i sensi". Un esempio anche fuori dal campo perché con la sua Fondazione ha fatto e continua a fare tanto per tanti giovani argentini. 

Il racconto scorre e sono brividi sulle schiene degli interisti perché la vita di Javi è la vita di chi a guardare le sue sgaloppate da trattore si è incantato tante volte e si è perso nei suoi dribbling sperando che un giorno sarebbero diventati indimenticabili. Quella forza assolutamente unica di tenere palla con un piede piantato per terra, in ogni serpentina c'era un pezzo di lui, un pezzo del suo sogno, dell'orgoglio di chi 'sa da dove arriva, quanto gli è costato e che non ha nessuna intenzione di perderlo'.

Leggenda nerazzurra e argentina, Javier. Perché ha battuto il record di presenze anche con la maglia della sua Nazionale e quando Maradona, che era pure suo amico, non lo ha convocato per i Mondiali 2010 gli ha aperto una ferita sul cuore. "Il suo legame con la Nazionale è storico, il suo record dimostra che per anni e anni è stato ai vertici assoluti del calcio", racconta Esteban Cambiasso. Quella lite con Hodgson ("Bisogna perderlo il controllo almeno una volta per poterlo dominare poi nella vita"), il gol in finale a Parigi, quello con la Roma - mozzafiato - all'ultimo minuto, con quella corsa straordinaria come esultanza: "Credo sia il primo caso di giocatore che segna e ha ancora la forza per girare per un minuto correndo per tutto il campo senza che nessuno dei suoi compagni riuscisse a prenderlo", dice ancora il Cuchu.

Poi la musica sale e scorre come le immagini del 2010, la Champions, l'impresa, l'impossibile che succede e sono ricordi che passano sullo schermo e ti fanno pensare 'e quando ricapita'. A lui è capitato, ma non per caso: "Javier era un leader silenzioso, gli bastava guardare i suoi compagni, solo con lo sguardo gli diceva sono qui e loro ci credevano. Quando sono arrivato ho pensato, non so come andrà, ma intanto un capitano ce l'ho. Mi ha subito fatto capire che avrebbe voluto giocare da titolare, ma non come chi sa di volerlo e basta, voleva esserlo lavorando ogni giorno sul campo per conquistarsi il posto e non è da tutti a 35 anni. La sera della partita con il Barcellona, quella al Camp Nou, lo misi a marcare Messi perché sapevo che Javier fa senza palla quello che Leo fa con la palla. E' stato tutto straordinario. E quando ci ripenso penso che io ho aiutato un sogno ed è la sensazione più bella che un allenatore possa avere". Si commuove Mourinho quando parla di Pupi e fa sorridere tutti invece quando dice: "La vera posizione di Javier io non la so, io non so ancora adesso dove gioca, e questo è il complimento più grosso che possa fargli. Lui può fare qualsiasi cosa gli si chieda". Anche quello di Messi non è male: "Dopo di lui non ce n'è stato un altro e non credo ci sarà più". No, di Javier Zanetti capitano da Buenos Aires ce n'è uno solo. Ed è toccato agli interisti. 

@SBertagna - @EvaAProvenzano