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Ci mise poco a nascere l’Inter. L’atto che la metteva al mondo, lunedì 9 marzo 1908, poco dopo le 11 di una sera ventosa e stellata, fu veloce, travolgente e deciso, proprio come quegli amori nati da un colpo di fulmine che ti fanno perdere la testa. E durano tutta una vita. Gli uomini che avevano deciso di fondarla erano quindici. Proprio come il numero di bicchieri di champagne messi sul tavolo, lì, in una sala riservata del ristorante Orologio di via Mengoni, vicino al Duomo, cuore di Milano. Dopo una cena a base di risotto alla milanese e ossobuco, le braccia si tesero verso l’alto per alzare i calici, tra evviva e sorrisi, alla storica firma. I quindici non erano pirati, non avevano i capelli lunghi, cicatrici e bende sugli occhi come nel romanzo “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson, stampato non molti anni prima. “Quindici uomini, quindici uomini…” cantavano, dalle pagine, i bucanieri in un motivetto divenuto poi famoso nei film. Ma nella nostra storia non c’era una nave, non c’era il rum, non c’era il morto della cassa! C’era però un massimo comune denominatore, o, direi, un minimo: il diavolo.
I nostri, il diavolo, lo avevano lasciato, sebbene da poco; ma sarebbe stato per sempre. I nostri avevano bastone e cappello, camicie e pantaloni stirati, scarpe lucide, barba e baffi in ordine. Solo il giorno prima avevano attraversato a passo svelto la Galleria Vittorio Emanuele. Come cercassero un nuovo punto cardinale, una nuova stella polare o un nuovo sorgere del sole. Erano usciti, dopo aver picchiato i pugni sui tavoli della Fiaschetteria Toscana, sede del Milan Club. “Non possiamo escludere gli stranieri dalla squadra. Il calcio, il pallone è un gioco senza frontiere. E’ di tutti! Non volete? Faremo da noi. Fonderemo un nuovo club”. L’agguerrito drappello era guidato da Giorgio Muggiani – un protagonista principale c’è sempre in una storia -, giovane studente e ormai ex segretario del Milan che sceglierà il nero e l’azzurro e il simbolo inciso d'oro dell’Inter.
Tra i soci rossoneri era nata l’idea di imitare la Pro Vercelli che si schierava solo con giocatori italiani. Muggiani, in quella tumultuosa riunione del consiglio, si levò a rigettare, per primo, coi gesti e la voce, quella proposta. Lui, artista aperto al mondo, non poteva accettare quella sciocca e arida idea di chiusura. E non rimase solo. In quattordici si alzarono subito dopo di lui: Boschard, Lana, Bertolini, De Olma, Hinterman Enrico, Hinterman Arturo, Hinterman Carlo, Dell’Oro Piero, Rietman Ugo, Rietman Hans, Voelkel, Maner, Wipf e Arduissi Carlo. L’ora era scoccata. L’Inter era nata. Dal cuore, alla mente, alla scelta. Ai primi quindici uomini, in manciate di minuti, forse di secondi, altri se ne aggiunsero; prima della convocazione della seconda riunione per mercoledì 11 marzo, i soci erano già divenuti 43. Immortalati nel tempo da una foto di gruppo. L’elenco si allungò. Ancora. Ai fogli vergati sulla carta intestata del ristorante se ne sommarono altri, bianchi di cartoleria. E poi altri ancora. Oggi, dopo 108 anni, siamo milioni. Collegati dalla rete per una storia, quella dell’Internazionale Football Club, che continua… Infinita.
di Marco Pedrazzini
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