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Ci sarà l’accordo prima dell’assemblea del 4 novembre?
—«Serve dialogo, perché nessuno può permettersi il lusso di sentirsi il padrone del calcio».
Ha mai pensato di ricandidarsi alla guida della Figc?
—«No, mai. Quello alla Lega Dilettanti è un servizio. Resto a tutela del mondo dilettantistico».
Sosterrebbe quindi la rielezione di Gravina?
—«L’opportunità costituente non va inquinata con le logiche elettorali. Il rapporto con Gravina è sempre stato molto positivo, lo sapete».
Lei si dimise dopo il disastroso Mondiale del 2014. Pensa che il destino di un presidente debba essere in qualche modo legato anche ai risultati sportivi?
—«Assolutamente no. Io decisi di dimettermi per evitare che costituissi un alibi»
Se tornasse indietro?
—
«Io non ci tengo a essere un esempio. Se la mia vicenda deve essere strumentalizzata, dieci anni dopo, per affermare che chi non ottiene un risultato positivo con la Nazionale debba fare un passo indietro, allora non ci sto. Negli ultimi anni in Spagna e in Germania sono saltati diversi presidenti federali e questo non ha prodotto alcun impatto sugli aspetti tecnici. Pensiamo davvero che il miglioramento delle organizzazioni ci porterà a trovare improvvisamente diciassettenni di talento da lanciare in Nazionale?».
Si può governare la Figc senza il sostegno del governo?
—«Da quando sono in federazione ho visto 24 governi diversi. La politica si interessa da sempre al calcio, l’importante è rispettare l’autonomia».
Il Decreto crescita ha davvero aiutato le società o ha mortificato i vivai italiani?
—«Se l’obiettivo della norma, oggi abrogata, è rendere più forti le nostre squadre tramite l’arrivo di calciatori stranieri, allora può esserci qualcosa di buono. Se si vuole trovare un equilibrio tra la dimensione competitiva e la valorizzazione dei giovani italiani, senza dubbio, la misura non è stata e non sarà mai positiva».
(Corriere dello Sport)
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