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Giancarlo Abete, nel corso della sua lunga carriera, ha ricoperto diversi e importanti ruoli nell’ambito della politica del calcio. Raggiunto da TMW, commenta la novità di giornata.
La Superlega le piace?
“Assolutamente no. Ma aggiungo che non penso che alla fine arriverà a compimento. Se ne parla da tanto tempo, ora c’è stata questa sorta di ufficializzazione. Credo che dietro un’accelerazione di questo tipo si nasconda una situazione di grande complessità sul versante dei conti economici di molte società di prima fascia. Probabilmente si sono rese conte che anche la modifica della Champions non avrebbe potuto portare gli introiti che ritengono necessari e che soprattutto risultano tali visto l’impatto economico della pandemia”.
È emblematico, da questo punto di vista, che i club tedeschi si siano tirati fuori.
“È un segnale che dà conferme in questo senso. In Germania c’è la logica dell’equilibrio di bilancio e non ci sono situazioni in cui si chiude con esposizioni debitorie molto elevate. Senza entrare nel merito dei bilanci dei club italiani, basti pensare a tutto il dibattito sulle difficoltà economiche del Barcellona che ha circondato le ultime elezioni in casa dei catalani. Il fatto che i club tedeschi non partecipino alla Superlega testimonia le situazioni di difficoltà delle società che partecipano. Parliamo di una competizione che nasce con società di solo tre Paesi, e quindi molto più debole senza l’adesione dei tedeschi. Questa accelerazione è stata ritenuta necessaria, ma una comunicazione di questo tipo risente dell’assenza di grandi Paesi come Germania e Francia, nonché dei grandi club che li rappresentano”.
Mi sembra di capire che lei condivida la tesi di chi vede una guerra di potere, più che una reale intenzione di far nascere la Superlega.
“Vedo una sfida, rispetto alla quale mi sembra che FIFA, UEFA e le Federcalcio abbiano manifestato la loro posizione con chiarezza. Ma dall’altro lato vedo una posizione di grande difficoltà sul versante degli equilibri economici e prospettici dei grandi club. Io spero che non accada, e la mia posizione di politica sportiva arriva dopo un’attività pluridecennale: non posso che essere contrario. Detto questo, non bisogna essere tifosi: tutti vogliamo che prevalga il merito sportivo, che ci sia l’equilibrio tra il rispetto del bacino d’utenza e la capacità dei piccoli club di fare miracoli. Però bisogna cercare di interpretare quello che accade, senza essere faziosi. E in questo annuncio ci vedo una manifestazione di difficoltà e di debolezza”.
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