Della rocambolesca sfida tra Inter e Juve, terminata 4-4, ha parlato, sulle pagine de La Gazzetta dello Sport il giornalista
Della rocambolesca sfida tra Inter e Juve, terminata 4-4, ha parlato, sulle pagine de La Gazzetta dello Sport il giornalista Stefano Agresti
Inter e Juve si sono prese a pugni come pugili che vogliono vincere per kappaò e si fronteggiano con la guardia bassa, fregandosene del rischio di andare loro stessi al tappeto. Ha colpito la capacità di reazione prima dei bianconeri, che hanno ribaltato l’1-0 di Zielinski, poi dei nerazzurri, che hanno trasformato l’1-2 in 4-2 in venti minuti scarsi, infine ancora della squadra di Motta, capace di rinascere dalla frustrazione del doppio svantaggio e di acciuffare un indimenticabile 4-4. Nel tardo pomeriggio di ieri a San Siro si è scritta una pagina di storia del derby d’Italia. Basti pensare che in campionato non si segnavano tanti gol in una sfida tra Inter e Juve addirittura dal 1961, dalla partita resa memorabile dalla decisione del club nerazzurro di schierare la squadra Primavera per protesta contro la Federcalcio (finì 9-1 per i bianconeri).
Quando in Premier League assistiamo a partite ricche di gol, ascoltiamo entusiastiche celebrazioni di quegli show. Giusto così. Ma anche le grandi squadre inglesi, per segnare e subire tante reti, non sono immuni da errori in fase difensiva; semplicemente si assumono rischi perché pensano innanzitutto a vincere, e il pubblico apprezza e si entusiasma. Noi spesso guardiamo quelle esibizioni con un po’ di invidia paragonando i loro incontri vivaci, brillanti e imprevedibili, al nostro esasperato tatticismo. Adesso che possiamo godere di un 4-4 tra due delle nostre squadre più grandi, già ascoltiamo qualcuno che storce la bocca, preferisce sottolineare gli sbagli, critica anziché applaudire. Come se i gol segnati negli altri campionati fossero più belli e i loro errori meno gravi. Non è così. Forse questo Inter-Juve l’avrebbe apprezzato anche Annibale Frossi, l’ala con gli occhiali, il campione colto che negli anni tra le due guerre teorizzava lo 0-0 come risultato perfetto perché determinato da una partita senza errori da parte di entrambe le squadre. Sarà stato imperfetto, profondamente imperfetto, ma noi questo 4-4 ce lo teniamo stretto.
In ogni pareggio c’è un vincitore: stavolta è, senza dubbio, Kenan Yildiz. Tre giorni fa aveva raccontato alla Gazzetta, con garbo ma anche con personalità, che avrebbe voluto imitare Del Piero e che avrebbe voluto esultare come Alex, con la linguaccia, di fronte all’Inter a San Siro. Lo ha fatto due volte. È partito dalla panchina, ma nel calcio di oggi - più che in passato - le riserve possono essere determinanti. Questo ragazzo ha tutto per diventare un campione, bisogna solo che gli venga data la possibilità di crescere con serenità. Addosso ha un’infinità di pressioni, com’è normale per chi indossa la maglia numero 10 della Juve (ma qualsiasi maglia della Juve, con qualsiasi numero, è pesante). A diciannove anni, deve però avere la possibilità di sbagliare e di vivere un periodo meno felice degli altri senza che ne vengano messe in dubbio le qualità. Perché quelle sono indiscutibili.