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Albertini: «Seguire esempio di Inter e Prato. La rovina del nostro calcio? Il mercato»

Lorenzo Roca

Demetrio Albertini parla della situazione complicata che si sta vivendo alla Figc dopo l’elezione di Tavecchio: «Un mese è poco per giudicare. Non volevo una poltrona tanto per. Guardo dall’esterno. La priorità è il bene del calcio...

Demetrio Albertini parla della situazione complicata che si sta vivendo alla Figc dopo l'elezione di Tavecchio: «Un mese è poco per giudicare. Non volevo una poltrona tanto per. Guardo dall’esterno. La priorità è il bene del calcio italiano. Tavecchio ci ha messo in difficoltà con una figuraccia internazionale. Quanto ai compagni di viaggio, ognuno se li sceglie: ce ne sono di ingombranti e di leali. La Lega Pro ha fatto cambiamenti importanti. È un campionato formativo, cruciale. Va aperto alle seconde squadre dei grandi club o alle convenzioni, come quella tra Inter e Prato: stimolano la formazione e l’impiego dei giovani più bravi. Invece la multiproprietà è un rischio: si tornerebbe indietro di 20 anni, ai tempi di Gaucci. E si raddoppierebbe la forza elettorale dei grandi club. Alla Lega Pro suggerisco: più poveri ma un po’ più liberi». Poi sui problemi del calcio italiano: «Il guaio del calcio italiano è il mercato. Vuole qualche numero? Mille operazioni nell’ultima sessione, tra A e B: uno sproposito. In Lega Pro ci sono calciatori migliori di certi stranieri che arrivano in A. Eppure qualche club la scorsa stagione aveva l’84% di stranieri. E non è questione di limitarli: in Germania, senza limitazioni, si arriva al 34%. Basterebbe la volontà. Ma evidentemente oggi per i nostri club l’affare non è più vendere, è comprare sul mercato estero e creare rose assurde, di 40 giocatori. Proponevo rose di 25 giocatori, con 10 del vivaio. È più probabile che si tratti di ragazzi nati o cresciuti in Italia, selezionabili per la Nazionale e col senso di appartenenza tipico delle grandi squadre storiche, come Ajax, Milan e Barcellona. Il nostro sistema ha accumulato ritardo anche nei confronti di Belgio, Svizzera e Austria. La domanda non è che cosa dobbiamo fare, ma che cosa vogliamo essere. Se il progetto non è sportivo, ma solo politico, si perde il bene più prezioso: la passione degli italiani».