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Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Massimo Ambrosini ha parlato del figlio Alessandro, 2 anni, affetto da una malattia contro la quale non esiste cura: il diabete di tipo 1. "Oggi viene quasi da ridere, ma, nella mia ignoranza, pensavo che il diabete fosse la tipica malattia legata alla terza età, all’organismo di una persona anziana che fatica a “gestire” gli zuccheri. Ho scoperto che quello di cui ero a conoscenza era il diabete di tipo 2. Perciò, mentre andavamo in ospedale, nella confusione del momento e pur vedendo mia moglie parecchio agitata, non mi era ancora chiara la gravità della cosa".
"Quando poi i medici ci hanno detto di sederci prima di spiegarci che nostro figlio era diabetico, dipendente dall’insulina e che l’unico modo per tenere sotto controllo la glicemia sarebbe stato sottoporlo a più iniezioni al giorno, o attraverso punture oppure mettendogli una macchinetta, ho avuto un mancamento e mi sono dovuto sdraiare. Oggi Paola ogni tanto mi ricorda il colore della mia faccia quel giorno, mentre a me torna in mente quanto forte mi battesse il cuore".
"Per i primi tre giorni Paola non ha voluto neanche toccare la macchinetta che pompava insulina nel sangue di Alessandro. Ero io ad armeggiare con quella roba. Il problema è che, se non dimostri di saper far funzionare la macchina o di saper praticare le iniezioni, dall’ospedale non esci. Così l’ho presa da parte e le ho detto: “Se non impari anche tu, qui ci restiamo per mesi”. Lei poi ha parlato con una mamma il cui figlio, ormai grandicello, era nelle stesse condizioni del nostro: si è sentita dire che avrebbe, avremmo potuto farcela, che Alessandro avrebbe avuto una vita il più possibile normale, e si è sbloccata".
«Farà 3 anni a maggio, alla sua età non ha percezione di quel che gli è capitato. Arriverà il momento in cui ci farà la fatidica domanda, e noi stiamo già pensando a cosa e come rispondere. Ma non c’è da prepararsi: gli andrà detta la verità, come del resto abbiamo fatto con Federico e Angelica, gli altri nostri due figli».
«È stato un momento delicato, molto difficile. Dal pomeriggio alla sera Paola e io ci siamo ritrovati in ospedale, e mentre uno dei due restava con Ale, l’altro doveva dire ai fratelli che la nostra vita per il momento sarebbe stata sconvolta, e per il futuro sarebbe cambiata in maniera definitiva, senza poter prevedere le conseguenze di questo cambiamento su tutti noi. È una risposta che darà solo il tempo».
«Ogni persona a cui capita una cosa brutta – e ci tengo a sottolineare come, dopo i primi giorni di comprensibile sbandamento, abbiamo capito che molti genitori ricevono diagnosi assai peggiori della nostra – vive stati d’animo che tutti noi in famiglia abbiamo attraversato, con tempi e modalità diversi: la rabbia, il senso di ingiustizia, la consapevolezza, l’accettazione».
A che punto è la ricerca?
«Si sta focalizzando sulle cellule staminali. Al San Raffaele se ne occupa il dottor Lorenzo Piemonti, all’avanguardia del settore. Il suo lavoro è appoggiato dall’associazione Sostegno 70 di Antonio e Paola Mincioni, genitori di un bimbo diabetico, che da quattro-cinque anni organizza una cena di beneficenza per raccogliere fondi. Il mio impegno in favore di questa associazione è il motivo per cui ho deciso di rendere pubblica la malattia di Alessandro, insieme alla voglia di redistribuire a quanti sono nella nostra situazione un po’ della tantissima solidarietà che abbiamo ricevuto in questi mesi, anche in virtù della popolarità di cui godo. Quando entri in ospedale ti crolla il mondo addosso, sentire che non sei solo ti fa stare un pochino meglio».
(Gazzetta dello Sport)
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