In una lunga intervista a il Giornale, Beppe Baresi ripercorre le tappe più importanti della sua carriera da giocatore e non solo. L'ex nerazzurro inizia il racconto partendo dal suo arrivo a Milano: "Per me che abitavo in campagna e il mio mondo erano cinquanta persone. Mi sono chiesto: vado o non vado? Mi convinsero. Avevo un carattere chiuso, ero taciturno, poco propenso ad aprirmi».
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Baresi: “Mourinho numero 1 nella gestione delle persone. È facile entrare…”
In una lunga intervista a il Giornale, Beppe Baresi ripercorre le tappe più importanti della sua carriera da giocatore e non solo
Poi ci si abitua, si cresce, si esordisce in serie A.
«In campionato a Vicenza, 18 settembre 1977. Mi ricordo una grande emozione, però non sono mai stato apprensivo. La verità? Non avrei mai immaginato questa carriera, sono partito da casa senza pensare a diventare professionista, ma ho sfruttato l'occasione».
A promuoverla fu Bersellini.
«Una grande persona. Lo chiamavano "il sergente di ferro". Pretendeva molto e stabiliva regole, chiedeva attenzione e impegno. È stato uno dei primi a cambiare metodo di allenamento, arrivò con il preparatore, figura non ancora così diffusa».
Gli '80, i migliori del nostro calcio.
«In Italia prima o poi arrivano tutti i grandi. Da Maradona a Zico, da Platini a Van Basten, da Falcao a Matthäus».
Il miglior compagno di strada?
«All'inizio Oriali, nella seconda parte, Bergomi. Con lo "Zio" ora giochiamo a padel».
Gli allenatori cardine della sua carriera?
«Bersellini è stato quasi un padre per me, un punto di riferimento. A Trapattoni sono grato perché mi ha aiutato a smettere, mi ha fatto capire che a un certo punto bisogna fare altro. Quando mi lasciava fuori mi spiegava il perché».
Dopo, ha seguito il settore giovanile ed è stato il secondo di Mourinho nei due anni d'oro. Com'era?
«Numero 1 nella gestione delle persone, bravissimo a trasmettere le sue idee. Facile entrare in sintonia con lui. Poi i risultati aiutano".
C'è qualcosa che non rifarebbe?
«Direi di no, ho avuto più di quanto credevo. Non cancellerei nulla, neanche gli sbagli, fanno parte di un percorso».
Sua figlia Regina gioca a calcio.
«All'inizio, sia io che mia moglie abbiamo cercato di sviarla. Lei era brava in tutti gli sport: tennis, cavallo, nuoto. Ma la sua passione era il calcio e alla fine abbiamo ceduto».
Ora, per l'Inter, fa lo scout. Come cambia il calcio?
«Guardo partite di tutto il mondo. Adesso ci sono un po' meno campioni nel senso pieno della parola, più atleti-calciatori. Qualche campione, però, si trova sempre».
(il Giornale)
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