L'analisi del direttore de La Gazzetta dello Sport: "Il gruppo dirigente guidato da Marotta, Antonello, Zanetti fino ad Ausilio ha fatto crescere l’Inter, seppure in un contesto non facile"
Tra le pagine dell'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport, Stefano Barigelli, direttore del quotidiano, ha commentato così la vittoria della seconda stella da parte dell'Inter: "Se una stella illumina, figuriamoci due. Figuriamoci se questa seconda arriva in un derby, in casa del Milan. L’Inter questo scudetto numero 20 inseguito e fortemente voluto, l’ha conquistato dopo aver trasformato il campionato in un monologo con una impressionante serie di numeri a corredo: miglior attacco, miglior difesa, capocannoniere. Un trionfo di queste dimensioni ha in genere tanti padri. L’allenatore, per cominciare. Simone Inzaghi dal campionato perso per strada e raccolto dal Milan è migliorato moltissimo.
Ha aggiunto a una grande capacità tattica, esaltata dalla partita singola, anche la continuità. Non è più solo un tecnico da finali. Ha saputo dominare un torneo lungo e complicato giocando un calcio di qualità. Si è poi calato meglio nella realtà del proprio club, con tutto quello che comporta. Inzaghi ha garbo e intelligenza, doti che lo hanno aiutato nei momenti più difficili a fronteggiare critiche anche aspre, perché Milano è una piazza esigente. Lo è talmente che non basterà la seconda stella ad appagarla. Inzaghi lo sa, ma sa anche di avere margini di miglioramento. Per esempio nella gestione di tutte le risorse tecniche a disposizione. L’anno prossimo, oltreché riconfermarsi nella corsa al titolo, l’Inter che sta nascendo ha come obiettivi una Champions e un Mondiale per club che vuole giocare da protagonista. Una stagione faticosa che partirà ad agosto del 2024 e terminerà a luglio del 2025 negli Stati Uniti con una competizione nuova, il Mondiale per club appunto, che per definizione deve vedere i nerazzurri in prima fila. D’altronde si chiama Internazionale, no? Nel nome c’è già scritto tutto.
Lo scudetto è anche il risultato del grande lavoro svolto dal club. Quando vinci in quattro anni due campionati con due tecnici, Conte e Inzaghi, che più diversi non possono essere, significa che la società sa svolgere bene la propria missione. Di uomini della provvidenza durati il tempo di un sogno è piena la storia del calcio, ma i grandi cicli, i successi che durano, poggiano sulle fondamenta di una struttura societaria solida. Il gruppo dirigente guidato da Marotta, Antonello, Zanetti fino ad Ausilio ha fatto crescere l’Inter, seppure in un contesto non facile. Certamente la svolta c’è stata con l’ingresso di Marotta: senza di lui la Juve è stata via via un po’ meno vincente, con lui l’Inter è stata via via un po’ meno pazza. Ha compiuto il percorso inverso di Italo Allodi, che Gianni Agnelli prese dalla grande Inter per ricostruire una Juve di lì in avanti protagonista per una quindicina d’anni.
Non a caso Marotta ha collezionato dieci titoli italiani in carriera. Chi voleva metterlo in difficoltà, e con lui l’Inter, alimentando il malumore di Lukaku fino al voltafaccia finale, in realtà gli ha fatto un favore. Lautaro, diventato leader, ha trovato la stagione migliore, Thuram si è scoperto un partner perfetto, tutto il gruppo si è alleggerito di tensioni e polemiche che lo avevano zavorrato. E ora? Dopo i nove scudetti di fila della Juve nessuno ha saputo ripetersi: Inter, Milan, Napoli e ancora Inter nei quattro anni successivi. Nessun successo si è trasformato in egemonia.