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"Mi chiamo Evaristo, scusate se insisto". Così lo raccontò una volta Beppe Viola in un servizio per La Domenica Sportiva e quella frase è rimasta negli annali. Evaristo Beccalossi, il Becca per i tifosi nerazzurri, è stato intervistato dal Guerin Sportivo ed è stato un viaggio nella sua carriera. "Nei primi anni a Milano avevo molta paura, ero timido, credevo mi mettessero in soggezione, venivo dalla Provincia ed ero molto giovane", esordisce l'ex calciatore.
IN RITARDO - "Sono arrivato all'Inter con un anno di ritardo - spiega - nel 1977 seguivano me ed Altobelli, lui fu preso subito, sulla mia scheda scrissero 'da rivedere' perché in quella stagione avevo saltato diverse partite con il Brescia e mi ero messo poco in mostra. Poi è arrivata la svolta".
L'ESORDIO - Non è stato facile. L'esordio per esempio, lo fece in una tournèe in Cina: "Per l'occasione Mazzola - che aveva dato l'addio al calcio - avrebbe giocato per l'ultima volta e dovevamo fare una specie di staffetta. Quando sono entrato in campo sono crollato, avevo bevuto bibite fredde, c'erano trenta gradi, mi portarono fuori a braccia. In ritiro poi cominciarono i dolori. Onesti era il preparatore atletico di Bersellini e mi metteva un bastone dietro alla schiena perché corressi più forte, soffrivo da matti e mi dovevo sempre confrontare con la bilancia. Era sempre un trauma ma mi inventavo le vie di fuga: quando correvamo, facevamo fondo, passava dalle nostre parti un'Ape e io mi ci siedevo sopra e mi facevo dare un passaggio fino a che non raggiungevo il resto del gruppo. Oh, mica potevo morire", continua Beccalossi.
INTERISTI - "I miei ricordi più belli con la maglia dell'Inter? La doppietta di destro con il Milan nel derby nell'anno dello scudetto. Al primo posto però c'è la semifinale di Coppa Campioni con il Real Madrid a San Siro, tutto lo stadio cantava il mio nome. Ho ancora adesso i brividi. Avevo un rapporto bellissimo con i tifosi", racconta.
FANTOZZI - L'ex calciatore ha raccontato anche di quanto è stato difficile per lui lasciare i colori nerazzurri: "Certe mosse non le ho capite. Per me è stato un trauma lasciare l'Inter e nessuno allora mi difese. Credevo che il mio cartellino fosse stato ceduto alla Sampdoria e invece a fine anno mi dissero che il prestito era finito e dovevo tornare a Milano. Il mio ritorno è stata una situazione fantozziana. Mi preparavo con la Primavera, poi mi passarono in prima squadra: feci il simpatico, mi accesi una Malborina a bordo campo. Rumenigge chiese come mai ero fuori e Castagner mi fece allenare da solo. Poi sono stato al Monza, mi hanno pagato 400 mln di lire. Infine il ritorno al Brescia e l'anno al Barletta", conclude.
L'intervista chiude con una domanda particolare al Becca: "Se ho mai fatto tatuaggi? No, non ne ho nessuno. Ma ne avrei voluti tre: uno per mia figlia, uno per i fantasisti e l'altro per Villeneuve".
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