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Getty Images
L'ex giocatore dell'Inter Gianfranco Bedin protagonista dello scudetto nerazzurro della prima stella ha parlato dell'ultimo scudetto conquistato:
Via Tagnin, 32 anni, per i tempi un vecchio, dentro la corsa, la freschezza di Gianfranco Bedin, 20enne dotato anche di un certo senso geometrico e di tiro. «Ma soprattutto di corsa, quello chiedeva il Mago Herrera».
«Non c'era dialogo. Decideva una mossa tattica ed era quella. Io, avendo il 4, come Tagnin dovevo marcare il fantasista degli altri. E dico gente come Rivera, Sivori... Però lui diceva "una volta che gli hai rubato palla siamo in superiorità numerica, perché quelli non corrono certo a riprendersela" e aveva ragione. E poi per fortuna se sbagliavo qualche mossa davanti alla difesa, dietro avevo un libero eccezionale come Picchi, che risolveva ogni problema».
«E chi lo nega? Avevo vent'anni, entusiasta, voglioso di giocare nella squadra che l'anno prima avevo visto in tribuna o stando per le prime volte in panchina. Ci misi del mio e modestamente facemmo bene».
«Peccato che si sbagli. O meglio, il gol più importante della mia stagione fu come lo descrive lei: 3 aprile 1966, Milan-Inter, dopo 8 minuti, palla fuori dalla lunetta, dribbling a sinistra e tiro nel sette. E vincemmo 2-1. Degli altri un paio furono addirittura di testa, poi sa, con gente come Corso, Mazzola o Suarez spesso ti arrivavano zuccherini solo da spingere».
«Che fu combattuto, soprattutto contro Napoli e Bologna. Ma più o meno tenemmo sempre la testa, sull'onda dell'entusiasmo di quel magnifico ciclo di giocatori. Il vero campionato memorabile fu quello del 1970-71, quando ci ribellammo all'allenatore Heriberto Herrera, imponemmo l'arrivo di Invernizzi e rimontammo otto punti al Milan».
«Una grandissima gioia anche perché era un riconoscimento che solo la Juve aveva. Ma fu un di più, se posso dire, una certificazione di tutta la storia dell'Inter. Questa Seconda, che sono entusiasta di essere arrivato a vedere, mi sembrava un'ossessione. Probabilmente perché sia noi che il Milan eravamo a 19. Ma il calcio di allora e il calcio di oggi sono non paragonabili in nulla».
«Forse Peirò per certe movenze».
«Direi Barella, per la corsa e la voglia. Ecco, io però segnavo di più».
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