Come nacque il vostro rapporto speciale?
“Quando venni aggregato alla prima squadra, alla Pinetina mi avvicinai a Luis dandogli del “lei” e chiedendogli se potevo portargli il borsone nello spogliatoio. Un gesto naturale per i nostri tempi: lui era il Pallone d’oro. Inevitabile per me essere in soggezione... Luisito negli anni successivi mi prendeva in giro: “Bedo, ti ricordi quando mi portavi la sacca…””.
Amava prendere la vita con leggerezza.
“Sì. Era solare e raffinato, e burlone, ha sempre avuto il gusto dell’ironia, della battuta intelligente, sdrammatizzante. “Noi spagnoli siamo fatti così: sappiamo vivere”, ripeteva. Gli ho voluto bene e lui ne ha voluto a me. Luisito sapeva creare un’unione familiare”.
Già, una famiglia: dove si vivono tante ore assieme.
“Stavamo ad Appiano per l’intera settimana, il Mago Herrera imponeva il ritiro anche la domenica sera, dopo la partita”.
E allora tante sfide a carte.
“E tante passeggiate, tanti discorsi fra noi. A quei tempi non ci si telefonava, ci si incontrava. A Luisito l’allenatore aveva concesso il privilegio di abitare in una camera singola”.
Un aneddoto?
“Herrera era maniaco della dieta, ma Luisito riuscì più volte a portarsi in camera, infilandolo sotto la tuta, un vinello da me prodotto e da sorseggiare insieme con pane e salame. Strizzandomi l’occhio mi faceva: “Oh, il mister non deve scoprirlo”. Io però capii che il Mago se n’era accorto, ma faceva finta di niente: in fondo era stato Helenio a convincere Angelo Moratti a investire una cifra record per portar via Luisito da Barcellona”.
A chi non l’ha visto in azione cosa può dire?
“Gli anni Sessanta sono stati caratterizzati da Suarez e Gianni Rivera. Impareggiabili inventori di gioco, stilosi, elegantissimi. Luisito correva di più di Gianni, anzi correva pure più di me”.
Luisito non disdegnava di essere accostato ad Andrea Pirlo.
“È un paragone che regge: tutti e due da trequartisti sono diventati grandi da registi”.
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