- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
ultimora
L'Inter era il suo sogno ma a Milano, dove aveva realizzato il suo sogno, ha anche tentato di uccidersi. Martin Bengtssonè stato un calciatore e quando è arrivato a vestire la maglia nerazzurra aveva 17 anni. La sua esperienza fu messa a dura prova da un infortunio che peggiorò la sua situazione. La sua storia viene raccontata nel film Tigers, tratto dal libro - scritto proprio dall'ex calciatore - 'In the shadow of San Siro'.
Martin ha rilasciato un'intervista al quotidiano La Repubblica nella quale ha raccontato come è arrivato a realizzare il suo sogno e come ha rischiato di perdere tutta la sua vita in un attimo. Abbiamo provato a sintetizzare quanto raccontato dall'ex nerazzurro nell'intervista realizzata da Franco Vanni. Suggeriamo di leggerla per intero, tutta d'un fiato perché è uno spaccato molto particolare e non scontato sul mondo del calcio di cui pensiamo di conoscere tutto, ma poi riesce sempre a nascondere dei lati che solo chi va a fondo alle cose scopre.
«Da piccolo il mio idolo era Van Basten e addobbai la mia stanza dei poster del Milan. Un mio vicino invece tifava Inter e fingeva di essere Zenga quando giocavamo. Adoravo il calcio italiano. E il mio sogno era quello di giocare a San Siro. A 17 anni mi chiamarono a Milano, all'Inter, una prova di due settimane. E mi capitò anche di incontrare la prima squadra con Emre, Materazzi e Cambiasso. Ero felicissimo di sapere che mi avrebbero preso. L'Inter divenne la mia squadra, realizzai che i miei sogni d'infanzia erano dipinti con i colori sbagliati. Tornato in Svezia, scesi nel seminterrato di casa e grattai via dai muri tutti gli adesivi del Milan».
«Quando arrivai in Foresteria c'era chi mi prendeva in giro. Non conoscevo bene l'italiano ma nigeriani e australiani mi presero sotto la loro ala. Non ho rancore nei confronti di nessuno, capisco che ci possano essere giovani che temono di perdere il posto in squadra. Vivevo le cose come un vincere o morire e magari la pensano in tanti così, solo che probabilmente in questo modo giochi peggio», ha aggiunto.
«Se alcool e cocaina facevano davvero parte delle feste come si racconta nel film? Quelle sostanze sono ovunque nonostante il club si sforzi molto di proteggerli. Durante la mia permanenza all'Inter due o tre ragazzi vennero sorpresi a fumare sostanze illegali in ritiro. Questo portò a maggiori restrizioni e controlli per tutti, nonostante non c'entrassimo nulla. Fu un periodo molto duro per la foresteria. I disturbi mentali erano un tabù allora e anche se oggi se ne parla di più, quando abbiamo raccontato certe cose ai giovani abbiamo solo raschiato la superficie. Spero che il film aiuti a portare alla luce questo argomento. Sulla strada verso il successo un giovane perde molto. In molti mi sono stati vicini ma mi vergognavo di dire quello che provavo, temevo di ammettere il fallimento. La vergogna è un aspetto centrale. A 18 anni non è facile dover ammettere di essere riuscito a raggiungere un sogno e una volta raggiunto sentirsi in prigione. Mi sono rialzato con anni di terapia e ho scelto una strada completamente diversa dal calcio che comunque mi ha insegnato disciplina e resistenza», ha raccontato l'ex giocatore.
Bengtsson ha giocato nell'Inter di Andreolli, Valeri, Eliakwu e tra i più giovani c'era pure Balotelli. «All'inizio con qualcuno di loro sono rimasto in contatto poi ho interrotto i rapporti con il mondo del calcio, ma a tutti auguro il meglio, me li ricordo. Oggi vivo a Stoccolma, faccio lo sceneggiatore per teatro e tv, mi sono diplomatico in scrittura drammatica all'Accademia del Teatro di Malmoe. A Milano sono tornato un paio di volte, anche per girare il film. È stato curativo. Moratti mi ha invitato a pranzo. Il riconoscimento di quanto accaduto, l'impegno per superare i problemi di salute nel calcio sono stati commoventi. Moratti è gentile, intelligente e ha mostrato grande disponibilità tutta l'Inter. Siamo tornati alla foresteria per il film in modo che il regista potesse farne un quadro accurato. L'Inter dovrebbe essere il modello per tutto il mondo del calcio», ha concluso.
(fonte: La Repubblica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA