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La storia di Martin Bengtsson merita di essere raccontata dopo che lo stesso giocatore ha confesato particolari inquietanti del suo passato. Dopo aver fatto il suo debutto professionale per la squadra svedese dell'Orebro a soli 16 anni, e immediatamente catalogato come grande promessa del calcio europeo, Bengtsson è stato paragonato all'altro astro nascente Wayne Rooney. Poi si era allenato con l'Ajax e fu osservato dal Chelsea, prima che il giovane compiesse il suo trasferimento da sogno in Italia all'Inter. Bengtsson racconta: «Dopo essere stato colpito da infortuni e con la sensazione di essere solo in un paese straniero e stretto in un ambiente soffocante, pensai che l'unica via d'uscita era quella di tagliarmi i polsi nel dormitorio dell'accademia del club nel 2004. Ho avuto un obiettivo molto chiaro quando avevo sei o sette anni e che era giocare per il Milan, ma, alla fine, è diventato l'Inter. Mi vedevano come il nuovo Wayne Rooney. Il Chelsea mi guardava e mi allenavo con l'Ajax. Il mio unico obiettivo era di diventare un calciatore e tutta la mia identità è stata costruita intorno a quello. Era solo calcio». Un crescente senso di insicurezza e un infortunio invalidante hanno fatto sì che lo svedese si sentisse in trappola: «È iniziato con un infortunio al ginocchio, alla fine della prima stagione all'Inter. Durante questo periodo non ho potuto giocare a calcio, ero solo sul divano. Dopo aver giocato tutte le partite possibili a Pro Evolution e FIFA ci si rende conto non c'è niente altro da fare. Perché quando si gioca così tanto il calcio diventa l'unico modo per valorizzare noi stessi. È solo calcio, tutto calcio. Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, e non solo per sentirmi dire 'impegnarsi di più' o 'pensare positivo' non si tratta solo di quello. Bisognerebbe aiutare i giovani calciatori a sviluppare altri lati. Mi dovevo identificare quando entravo e uscivo dal dormitorio. Non si poteva uscire dopo le 9. Era duro non avere nessuno della famiglia in casa, c'era un bus che ci portava all'allenamento, mangiavamo, tornavamo sul bus e poi a dormire. Molti giocatori sentivano di essere in prigione e volevano scappare. Io mi chiedevo "sono un calciatore o no?". Intanto la mia depressione era sempre più profonda e la mia soluzione fu quella di chiedere di andare in città a comprare una chitarra per avere qualcosa da fare le sere in cui non si giocava dato che non potevo fare nulla. Chiesi e loro mi rispondevano in continuazione "domani, domani" ma alla fine la comprai. Spendi la tua intera vita ad allenarti. 6 ore al giorno per molto molto tempo. Ma mi sono reso conto che non era il mondo che mi immaginavo e non vedevo una via d'uscita. Ero troppo orgoglioso per ammettere e dire "addio, non sono fatto per questo". Avevo troppa vergogna e questa vergogna mi condusse al tentativo di suicidio. Ho preparato i rasoi nel bagno la notte prima, credo fosse il 21 settembre, mi sono svegliato e ho iniziato a tagliarmi polsi e braccia iniziando a sanguinare. Poi sono andato in stanza in qualche modo e caddi svenuto». Ora Bengtsson è musicista e ha scritto un libro autobiografico intitolato In the shadow of the San Siro (Nell'ombra di San Siro).
(the sun)
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