LEGGI ANCHE
Iniziamo dal senso di appartenenza.
«All'Inter il settore giovanile è una famiglia. Un po' ovunque con i giovani succede così, ma all'Inter in particolar modo: tra me, Ferri e gli altri del 1963 si era creato un legame speciale. Anche con i vari Pizzi, Manicone e Minaudo che erano nati dopo o con gli allenatori. Sono appena andato a fare gli auguri di compleanno (105 anni, ndr) ad Arcadio Venturi che ha lavorato al settore giovanile dell'Inter quando c'ero io e poi è stato vice di Trapattoni».
Cosa vuol dire invece avere il Dna nerazzurro?
«Ogni squadra ha il suo Dna. La gente dell'Inter vuole che ti butti su ogni pallone, che tu faccia una scivolata o una corsa in più per la squadra. Non parlo di maglia sudata, un concetto caro a tutte le tifoserie, ma di sacrificio e sofferenza. L'Inter ha queste doti nel suo dna e quando vai in campo, è meglio tenerlo bene in mente».
Anche Dimarco ha il Dna nerazzurro, ma le vostre storie sono molto diverse.
«Lui ha fatto tutto il percorso nelle giovanili, ha vinto il torneo di Viareggio con la Primavera e poi è andato in prestito a fare esperienza per qualche stagione. Io a sedici anni sono arrivato in prima squadra, a diciassette ho iniziato a giocare con sempre maggiore continuità e a diciotto ho vinto il Mondiale con l'Italia. Ho iniziato e concluso la carriera con la maglia nerazzurra, mentre lui ha dovuto guadagnarsela con le prestazioni in Serie B, nel campionato svizzero e in Serie A».
Al di là delle carriere diverse, però, vincere con l'Inter per entrambi è stato speciale.
«Secondo me... vale doppio e credo che Dimarco la pensi allo stesso modo. Le sensazioni che provi sono indelebili, quando le cose vanno bene e quando purtroppo vanno... meno bene».
Lei, Dimarco, Ferri, Oriali e Mazzola siete modelli da seguire per i ragazzi che adesso sono nel vivaio.
«Se sei interista e arrivi all'Inter da bambino, indossare la maglia della prima squadra e vincere è il massimo a cui puoi aspirare».
Cosa augura invece a Dimarco?
«Di vincere anche il prossimo Europeo con l'Italia, poi di continuare la sua crescita personale e di squadra con l'Inter. Per me ci sono i presupposti perché Federico si tolga tante altre soddisfazioni in nerazzurro: Inzaghi è bravo e la società è composta da grandi dirigenti che hanno mostrato competenza durante la campagna acquisti, oltre a eleganza e intelligenza nella gestione della stagione. Nessuno è mai caduto in provocazioni e il Dna dell'Inter è venuto fuori».
© RIPRODUZIONE RISERVATA