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Lunga intervista concessa da Beppe Bergomi ai microfoni della Gazzetta dello Sport. I risultati del turno pasquale di Serie A hanno indirizzato ulteriormente il campionato in favore della squadra di Conte: «E sì che l’ultima giornata ha cambiato le prospettive delle squadre che sono dietro all’Inter. Prendiamo al Milan: prima della Samp poteva pensare di metter pressione ai nerazzurri. Ora la testa dei rossoneri è solo alla Champions. Ecco perché abbiamo visto Antonio Conte sorridere, dopo Bologna».
Cosa c’era in quel sorriso?
«C’era un uomo felice perché ha raggiunto quello che per ogni allenatore è l’obiettivo massimo. Al di là del risultato, Conte ha infatti costruito un feeling totale con la squadra. Si vede un gruppo coeso, la prestazione di Ranocchia lo dimostra. Antonio è il vero valore aggiunto dell’Inter, ha coinvolto tutti nel suo progetto».
E dove può essere migliorata questa squadra?
«Partiamo dal modulo. Non si può non pensare al 3-5-2, con Conte devi partire da lì. Non so fino a che punto la società potrà intervenire sul mercato. Ma se vogliamo rinforzare la squadra per renderla competitiva ai massimi livelli anche in Europa, credo siano tre i ruoli da ritoccare. Meglio ancora: forse è più giusto parlare di tipologie di giocatori da inserire nel contesto. Il primo: un difensore veloce. Perché permetterebbe a Conte di alzare il baricentro della squadra, provando a rischiare di più, senza esser costretto ad abbassarsi per concedere poco campo. Per carità: per l’Inter questa è una situazione comoda, tanto in Italia sa che prima o dopo il gol lo trova...ma se pensiamo all’Europa, il discorso è differente».
E gli altri due interventi?
«Un mancino a sinistra. Perisic ha fatto bene, Young si è dimostrato tutto sommato affidabile. Ma serve uno con un piede sinistro di livello. E infine, un centrocampista con 6-8 gol nelle gambe. Un Matthäus , per capirci. Oppure, per restare ai giorni nostri, un Goretzka. Non è più il caso secondo me di pensare a Kanté. Considero Brozovic e Barella perfetti. È sul terzo nome che andrebbe fatto l’investimento. Ok, c’è Eriksen che sta lì e fa il suo. Ma per fare il salto in Europa servirebbe altro in quella zona. In Champions si gioca un calcio diverso: c’è bisogno di gente di passo, in grado di saltare l’uomo, di fare la differenza nell’uno contro uno. È un’altra storia, un altro torneo. Tutto questo, ovviamente, restando sul 3-5-2 come base di partenza. Anche se a livello internazionale si vince con la difesa a quattro...».
Ma perché avviene questo?
«Perché la difesa a tre è in realtà una “cinque”. E dunque gli esterni sono più difensori che altro. Hakimi ad esempio è nella testa un difensore: va dritto, l’uomo lo salta in velocità, quasi mai puntandolo. Detto che in genere in Italia addestriamo poco l’uno contro uno...ma dove si vincono i duelli individuali? Sulle fasce, soprattutto. Giocando a quattro, gli esterni sono più liberi di cercare la superiorità numerica».
Torniamo all’Inter. L’asse portante della squadra è formato da giocatori giovani, con un futuro davanti.
«Ed è fondamentale. Penso a Bastoni, a Barella che era già maturo quando lo conobbi ai tempi del Como, ci metto dentro anche De Vrij che è un ragazzo perbene: saranno loro a far capire ai giocatori di domani cosa è l’Inter. Ogni squadra ha il suo Dna: più stai dentro il club, più riesci a trasmettere i valori a chi entrerà nel gruppo».
In fondo...come faceva Bergomi, no?
«Il capitano non è mica solo quello che scambia il gagliardetto... Mi è capitato con Bergkamp, con Sammer. Pure nella mia Inter c’era un gruppo portante: io, Zenga, Ferri. Ci serviva un campione per vincere. Arrivò Matthaeus, appunto».
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