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Berruto: “L’emendamento Mulè non serve a nulla. Lega e Figc dovrebbero parlarsi”

Fabio Alampi Redattore 
L'ex ct della Nazionale italiana di volley ha detto la sua sul tanto discusso decreto proposto dall'onorevole Mulè

Mauro Berruto, ex ct della Nazionale italiana di volley, in un'intervista concessa a Tuttosport ha detto la sua sul tanto discusso emendamento Mulè: "A me sembra che l’indipendenza e la possibilità di strappo che era ben presente nella prima versione dell’emendamento siano state diluite in percentuali omeopatiche nell’annacquatissima versione approvata. La montagna ha partorito il topolino".

E questo topolino cosa può produrre?

"Poco. È una norma di indirizzo, dice sostanzialmente che si possono ricalcolare le percentuali di rappresentanza, aumentando quella della Serie A in seno al consiglio federale. Bene... e così salviamo il calcio italiano?".

Come si può salvare, secondo lei?

"È indispensabile una visione collettiva, all’insegna del fatto che una Federazione forte rafforza la Serie A e viceversa. Considerarsi antitetici è abbastanza folle: gli interessi finali sono comuni. Poi posso capire che i presidenti di Serie A difendano i loro investimenti, ma senza un ecosistema funzionante quegli investimenti sono ancora più a rischio".

L’Italia del calcio è piuttosto refrattaria a “fare sistema”, nessuno è disposto a rinunciare agli interessi della propria quadra o della propria Lega o della propria componente.


"Io vengo dal volley e, nonostante le differenze ovvie tra le finalità della Serie A e della Federazione, si è creato un modello funzionante che ha permesso al campionato italiano di essere uno dei più importanti del mondo e alle nazionali di essere sempre tra le prime del mondo. Progetti comuni come il Club Italia (la squadra di giovani italiani “prestati” dalle varie società che gioca in A2. ndr) hanno dato i loro frutti: i giocatori del Club Italia hanno rinforzato le nazionali e sono cresciuti molto, così tornati nelle loro società hanno rinforzato anche quelli. Insomma, basta sedersi e ragionare insieme. Pensare che esistano dei buoni e dei cattivi in questa vicenda è demenziale. Come se le società di Serie A che voglio staccarsi dalla Figc fossero tutte virtuose e frenate dalle politiche federali: vogliamo parlare di bilanci, anzi di sbilanci? Ci sono sempre indici puntati e mai nessuna autocritica".

Se davvero ci fosse la disponibilità a sedersi e parlare del futuro del calcio italiano, quale sarebbe il primo punto in scaletta?

"Per esempio i settori giovanili. C’è un problema di selezione dei talenti e di formazioni dei giovani. Si punta a vincere nei settori giovanili, senza curarsi che l’obiettivo è creare dei giocatori. C’è troppa tattica e poca tecnica, c’è una prevalenza del fisico sul talento. Servirebbero degli allenatori ad hoc, anzi dei formatori. Una volta studiai il modello islandese: hanno gli abitanti della provincia di Asti, ma riescono a competere ad alto livello negli sport di squadra. Da loro la piramide degli allenatori è al contrario: per allenare i ragazzi serve un tesserino molto difficile da conseguire e corsi estremamente formativi, mentre paradossalmente è più facile allenare le prime squadre. Ma è giusto così: con i ragazzi ci vuole più preparazione, anche a livello pedagogico".

Altro punto in scaletta?

"Lo Ius Soli sportivo è un’emergenza per tutto lo sport nazionale. In questi giorni ci chiediamo dove sono i nostri Yamal, ma prima sarebbe importante ricordarci che il diciassettenne Yamal, nato in Spagna da due genitori stranieri, in Italia non avrebbe neanche il passaporto italiano per giocare in nazionale. Ma il calcio troppo spesso non approfitta dei campioni di seconda generazione neanche quando, a diciotto anni, finalmente possono averlo il passaporto. Nel volley e nell’atletica, invece, sì".

C’è una speranza che si finisca di litigare e finalmente costruire?

"Con i veti incrociati e le battaglie si va poco lontano. Che separare il calcio dei ricchi della Serie A dal resto del sistema, alla fine, non sia produttivo neanche per la Serie A. La Lega e la Figc dovrebbero parlarsi, senza l’aiuto di decreti; semmai il Parlamento può fare da forza di interposizione con la sua piena rappresentanza e non con soggetti interessati perché contemporaneamente senatori e proprietari di una squadra di A. Serve una profonda riflessione e progetti comuni per aumentare il livello dello spettacolo della Serie A, ultimamente sceso molto, e il livello della Nazionale che, con l’eccezione del 2021, è in un tunnel terribile da 18 anni".