Mauro Berruto, ex ct di volley e ora membro della segreteria nazionale del Pd con delega allo sport, ha concesso un'intervista ai microfoni di Tuttosport. L'argomento principale della discussione è stata la Superlega e tutto il caos che ne è scaturito.
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Berruto: “Superlega cantonata fotonica. Sanzione Uefa? Assolutamente no perché…”
Le parole dell'ex ct di volley: "Lasciamo stare la Nba che ha un accesso democratico alle risorse, il draft, il salary cap e il fair play finanziario vero"
Per quanto tempo ha creduto che questo annuncio della Superleague potesse concretizzarsi in qualcosa di reale?
«Neanche per un minuto, mi è parsa la classica operazione sindacale in cui si chiede 100 per avere 10. Anche per i modi che sono stati utilizzati mi pareva evidente che fosse una volontà di rottura per arrivare a un obiettivo intermedio, altrimenti non sarebbe stata presentata così la Superleague. Lo dico per la stima che posso avere per chi ha promosso l’iniziativa che immagino sia nata dopo aver avviato studi e ricerche. E’ stato un tentativo di golpe in cui sapevano perfettamente che non sarebbe andato a buon fine. E’ stato uno strumento per ottenere altro e non l’obiettivo sbandierato».
Crede che Fifa, Uefa, Figc e Lega di Serie A sanzioneranno i club?
«Assolutamente no. La Superleague ha vissuto per due giorni. E’ come se ci fosse stato una sorta di schieramento di guerra tra eserciti e poi tutto è rientrato, del resto si conoscono troppo bene per poi decidere di spingere davvero il bottone. Ci sarà una nuova pace forzata che si baserà sul tema monofinanziario. Però un sassolino me lo vorrei togliere...».
Prego, di cosa si tratta?
«Più che di cosa è di chi. Mi riferisco a tutti quegli opinionisti che erano già saliti sul nuovo carro, additando il resto del mondo a retorico e romanticamente indietro rispetto ai tempi che evolvono. Hanno toppato alla grande per usare un eufemismo. I modelli vanno studiati bene. E lasciamo stare la Nba che ha un accesso democratico alle risorse, il draft, il salary cap e il fair play finanziario vero. Quello era un modello fondativo, stava a monte, è nato così nel 1946. Tra l’altro su un modello sportivo americano in cui l’identificazione ce l’hai con i college e l’università. A parte hai poi lo show del Nba che è un’altra cosa. L’operazione Superleague arrivava invece a valle, dopo 100 anni di storia del calcio e non è un caso che la vera sollevazione popolare sia avvenuta in Inghilterra dove questo sport è nato. I tifosi si sono messi davanti ai pullman delle squadre e hanno detto “voi questa cosa non la fate!”. Dico che quando si vuole provare a imporre modelli chiamando esperti di finanza, marketing, matematica e comunicazione, si farebbe meglio a chiamare anche un filosofo e un antropologo. Stavolta questi della Superleague hanno preso una cantonata fotonica».
Nel sistema calcio dove e come si deve intervenire affinchè gli equilibri finanziari si possano trovare con minor difficoltà?
«Molto semplice, con il controllo dei costi. Anche il tentativo del fairplay finanziario non è stato abbastanza efficace. Ci vorrebbe una redistribuzione degli introiti diversa. E poi occorrerebbe normare in maniera differente la questione degli ingaggi. So che quando c’è un grande business ci sono anche grandi introiti ma intanto una regolatina sugli agenti sportivi bisognerebbe darla. Ma non solo. Il mondo dello sport in Italia tocca ogni giorno circa 15 milioni di persone per cui produce anche appassionati di calcio. E’ arrivato il momento di cambiare la redistribuzione dei proventi alle altre discipline, non solo ai calciatori o ai loro procuratori. In ogni caso è evidente che questo modello è imperfetto, dai morti per la costruzione degli stadi in Qatar alla finale di Champions a Istanbul in Turchia, ma è arrivato il momento di mettere mano e correggere senza dimenticarci della gente. Pensate che bello se Lazio e Roma insieme andassero nelle scuole primarie per formare la cultura sportiva, intesa come inclusione e rispetto».
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