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Bianchi: “Mazzarri, la svolta in società  non aiuta. Tutti tremano per il posto e…”

Ottavio Bianchi, intervistato dal Corriere dello Sport, avverte Walter Mazzarri: allenare una squadra che sta per cambiare proprietario non è facile. Bianchi, com’è la vita del tecnico che attende di sapere chi è il nuovo proprietario del...

Daniele Mari

Ottavio Bianchi, intervistato dal Corriere dello Sport, avverte Walter Mazzarri: allenare una squadra che sta per cambiare proprietario non è facile.

Bianchi, com’è la vita del tecnico che attende di sapere chi è il nuovo proprietario del club?

«Ormai io avevo fatto il callo a questa situazione. L’ho vissuta all’Inter, ma anche un altro paio di volte, compresa l’esperienza alla Roma venduta da Viola a Carrapico».

Ricordi?

«Non piacevoli perché lavorare diventa molto più difficile. Ci sono troppe persone che hanno alibi all’interno della società e tutto questo si riflette sui giocatori che, per far bene, non devono potersi creare alibi di nessun tipo».

Quali sono le maggiori tensioni?

«Quando cambia il proprietario di una società, anche quelli che hanno da qualche anno il loro posto di lavoro, perdono sicurezze, temono di essere sostituiti perché chi investe tanti soldi, spesso e volentieri vuole rivoltare il club come un calzino. Le piccole tensioni del lavoro quotidiano in sede possono arrivare alla squadra. Anzi, arrivano sempre alla squadra».

Non è possibile isolare il gruppo?

«Un allenatore ci prova sempre, ma i media parlano tanto di operazioni che coinvolgono società importanti come l’Inter e poi ci sono le preoccupazioni trasmesse dalle persone all’interno. Isolare e soprattutto motivare sempre la squadra non è facile, ve lo assicuro. L’unica cosa che aiuta è che spesso i calciatori hanno i loro contratti, magari pluriennali, e quelli neppure il nuovo proprietario li può toccare».

Come ha vissuto la stagione del passaggio dell’Inter da Pellegrini a Moratti?

«Erano due grandi personaggi che avevano fatto la storia dell’Inter: Pellegrini era al comando della società, Moratti lo era stato ai tempi della grande Inter guidata dal padre a importanti trionfi. La trattativa, mi ricordo, fu molto difficile e rimase nascosta per parecchio tempo. Certo, ogni tanto sentivamo degli “spifferi” perché erano coinvolti due personaggi di un certo spessore, ma tutto finì abbastanza rapidamente».

Quale fu la sua reazione quando Pellegrini le disse che stava vendendo l’Inter?

«Inizialmente non la presi molto bene perché ero arrivato sulla panchina nerazzurra per volontà di Pellegrini. Era stato lui a volermi e tutto d’un tratto mi ritrovavo con un’altra proprietà e persone che la pensavano in maniera diversa. Certo parlai con la nuova dirigenza e concordavamo sul fatto che avremmo lavorato bene insieme, ma rimanevo pur sempre il tecnico scelto dalla precedente gestione».

L’avvicendamento Pellegrini-Moratti arrivò nel febbraio 1995. Come ricorda quella stagione?

«Sicuramente non è stata tranquilla e non tutto è filato liscio. Moratti mi ha tenuto e sono rimasto anche la stagione successiva quando sono stato esonerato durante il campionato».

Si aspettava un finale del genere?

«Quello è stato l’unico esonero della mia carriera. Con Moratti presidente partimmo con degli obiettivi da raggiungere che non erano sicuramente quelli che la gente si aspettava (lo scudetto, ndr). Doveva essere un anno interlocutorio almeno nei programmi iniziali e invece... pagò l’allenatore».

Un tecnico che si trova in bilico da due “dirigenze” come vede comportarsi?

«Potrei scrivere un manuale (ride, ndr)... Bisogna sapere come comportarsi, a volte mettere la maschera, a volte toglierla».

Mazzarri insomma non è in una situazione facile.

«Mazzarri non lo conosco di persona, ma è bravo. Per lui parlano i risultati e quello che ha fatto in una carriera nella quale non ha sbagliato una stagione. Vedendolo lavorare da fuori non ho la presunzione di giudicarlo, ma mi sembra preparato».

Cosa deve fare un allenatore in casi come questo?

«Non mi permetto di dare consigli, ma racconto le mie esperienze: io cercavo di essere il punto di riferimento un po’ per tutti, ma sapevo che se le cose non fossero andate bene, sarei stato io il capro espiatorio. Tentavo di sbagliare il meno possibile, anche fuori dal campo, e oltre all’allenatore facevo lo psicologo, non solo dei calciatori».

Thohir sembra voler costruire un’Inter con i giovani al centro del progetto e i conti in regola. Le piace come idea?

«Nel calcio moderno per far bene devi investire, sia nei giocatori sia nell’organizzazione, altrimenti competere con le grandi d’Europa è un miraggio. L’alternativa è fare un programma a lungo termine che preveda la crescita dei giovani. Ma una squadra come l’Inter può permetterselo? E’ realistico comunicare alla tifoseria, per esempio, “torneremo ad essere competitivi tra 3-5 anni”?».

Un indonesiano alla guida dell’Inter è una bella rivoluzione, non crede?

«E’ il segno dell’evoluzione dei tempi. In un mondo globale le aziende si vendono in tutte le parti del mondo. Certo per l’Inter che ha avuto grandi proprietari tutti lombardi, Moratti padre, Fraizzoli, Pellegrini e Moratti figlio, il cambio è radicale».

Dove può arrivare quest’Inter?

«E’ un gradino sotto le formazioni che lottano per lo scudetto, ma se le altre non vanno bene può essere la sorpresa. Di certo con la rosa attuale e la situazione societaria, non può che partire in sordina ed è vietato dire che l’obiettivo è il primo posto».