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"Era l'Inter di un giovanissimo e formidabile Meazza, autore di 31 gol; era l'Inter che per la prima volta entrava nelle coppe europee (anche allora un'eliminazione in semifinale). Era l'Inter del grandissimo Arpad Weisz, allenatore ungherese trentaquattrenne, di origine ebraica, costretto pochi anni dopo a fuggire dall'Italia in seguito alle leggi razziali e internato successivamente a Auschwitz, dove fu ucciso dai nazisti nel 1944. Quando arriverà la terza Stella, a spanne non ci sarò più. Poco importa, se penso a come le storie dell'Internazionale resteranno dentro, cucite come le stelle sulle magliette di cotone, nelle vite dei miei figli e delle mie nipoti".
Perché questo è il significato profondo di una passione per un fenomeno totalmente futile come il Calcio, che l'Inter accompagna però con un tratto distintivo che la rende unica: l'incertezza. Un'incertezza costante e vibrante che rende così simili le sconfitte e i successi, vissuti con il cuore in gola fino all'ultimo secondo dell'ultimo inesorabile minuto di recupero. Ma in fondo è la stessa incertezza, lo stesso senso di smarrimento e insieme di incanto e follia di quando guardando un cielo stellato, cerchiamo insieme la disposizione delle galassie e le figure dello Zodiaco. Eppure, unendo inconsciamente magia e astronomia sappiamo, noi interisti, che da quei cieli ignoti, non importa quando ma ogni tanto, scenderà, sul nostro cuore, una piccola stellina.
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