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Come è andata la sua festa?
«Una festa da "inter-nato", come il gruppo. È stato liberatorio andare con tanti dei nostri in piazza Duomo in mezzo a tutta quella gente. La domenica successiva ho visto una città interamente travolta da un evento di parte. La partecipazione è stata quasi inaspettata, ma la felicità sempre sotto controllo: il rispetto ha prevalso su qualsiasi aspetto conflittuale del tifo. Questo comportamento deriva anche da Inzaghi e dal tipo di squadra che ha creato: ora l'Inter esprime solo talento e gioco, è gentile e diversa da altre nostre formazioni vincenti più spigolose e bellicose».
In cosa è diversa dal passato l'Inter di Simone?
«Nell'estetica, parola importante per un architetto e che non sempre l'Inter ha ricercato. E proprio il Dna della nostra squadra a essere differente: sta nell'unione di passione e incertezza, le due sensazioni che ci fanno sempre vivere in bilico. Mentre in questa stagione tutto è stato accompagnato da una bellezza stupefacente. Nella squadra c'è stata una serenità nuova data proprio dal gioco: lo scudetto è stato quasi una rapsodia gioiosa, un concerto polifonico».
Quali sono i 4 pilastri su cui si è cretto il palazzo tricolore?
«Ci sono pilastri che danno continuità, stabilità, ma nell'inter ci sono anche elementi più discontinui che, invece, danno accelerazioni altrettanto importanti. Se devo fare solo quatto nomi sui quali abbiamo costruito la vittoria, allora dico Lautaro capitano e goleador, Calhanoglu che ha completato il suo viaggio meraviglioso dentro il club, Barella che con elettricità accende l'anima della squadra e Bastoni, uno dei miei giocatori preferiti».
In che cosa questo è stato lo scudetto di Inzaghi e in che cosa quello dei dirigenti?
«C'è un'alchimia strana nella società: la presenza-assenza del presidente ha permesso a una figura straordinaria come quella di Marotta di avere ancora più autonomia. In fondo, la coppia vincente formata dall'a.d. e da Inzaghi ce l'abbiamo solo noi: sono gli architetti diversi di un progetto straordinario. Anche Zhang ha dato affidabilità a distanza: e un ragazzo intelligente e conosce il valore della delega».
Per chiudere, cosa si aspetta dopo la stella?
«I passi giusti li stiamo facendo già, l'architettura di Inzaghi e Marotta non ha grandi vuoti. Per me la loro è una struttura ibrida di cemento e acciaio. L'acciaio è fatto dall'intelaiatura italiana e giovane, il cemento da giocatori esperti e internazionali. Poi ci sono altri materiali preziosi come Lautaro e Thuram. Per le prossime sfide accogliamo Zielinski, Taremi e speriamo Gudmunds-son. Confesso, che un po' di amaro per la sconfitta beffarda con l'Atletico è rimasto: così, a stella vinta in Italia, puntiamo a riprovarci in Europa. È la Champions la prossima priorità.
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