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Gerd Müller, Boninsegna: “È stato uno dei più grandi. Tra gli attaccanti italiani…”

Gianni Pampinella

Intervistato dal Corriere della Sera, Roberto Boninsegna ricorda l'ex attaccante deceduto domenica all'età di 74 anni

Gerd Müller si è spento domenica all'età di 75 anni. L'ex giocatore vanta numeri incredibili, sono 365 i gol in carriera con la maglia del Bayern, tre volte campione d’Europa. Intervistato dal Corriere della Sera, Roberto Boninsegna ricorda così l'ex attaccante: "A Messico '70 ha vinto la classifica marcatori con 10 gol, è stato irraggiungibile. A Germania '74 ha vinto la Coppa del Mondo. È stato uno dei più grandi, non bisognava insegnargli nulla".

È stata anche merito di Müller la partita del secolo tra Italia e Germania Ovest nella semifinale del Mondiale di Messico '70?

«Quando sbagliavi una cosa, lui ti puniva. In quella partita Müller ci ha fatto due gol. A dimostrazione di quanto fosse unico. Era il classico giocatore d’area, viveva lì. Era il suo habitat naturale. Certo, poi è stato merito di tutti se quella è stata ricordata come la partita del secolo. Entrambe le squadre qualche errore l’hanno combinato. Eravamo 1-0 per noi, poi i tedeschi hanno pareggiato proprio alla fine. E da lì ci sono stati quei supplementari mitici».

Vi siete mai incontrati negli anni più recenti?

«Sì, un paio di volte in alcune gare di beneficenza. Ero sempre felice di incontrarlo. Purtroppo si comunicava poco, perché lui non parlava italiano, io non parlo tedesco. Comunicavamo con un po’ di inglese. Ma sono sempre rimasto in contatto con Karl-Heinze Rummenigge, ex dell’Inter ed ex ad del Bayern Monaco».

Purtroppo gli ultimi anni non sono stati felici per Müller.

«Il Bayern Monaco lo ha aiutato tanto. Gli aveva affidato anche la panchina di una delle sue squadre delle giovanili. Poi è arrivata quella malattia…».

Negli anni passati, tra gli attaccanti italiani, c’è stato qualcuno che le ha ricordato Müller nel modo di attaccare l’area, di aspettare l’errore del difensore?

«Forse Pippo Inzaghi. Sì, direi lui. Perché Inzaghi è sempre stato un attaccante d’area e viveva molto anche nell’attesa della disattenzione del suo marcatore. E segnava…».

(Corriere della Sera)