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Dimarco: “Mi insulteranno ma stimo Theo. Finale col City? Dolore e orgoglio. Dico a Thuram…”

Eva A. Provenzano Caporedattore 

-Tutto parte da...

Io inizio a cinque anni al Calvairate, dalle mie parti e poi all'Inter da quando ho fatto otto anni fino all'esordio in prima squadra con Mancini. Mio papà e mia mamma mi seguivano, come mio zio ma mi hanno sempre lasciato fare, tenendomi coi piedi per terra. Negli anni sono sempre stato un po' giudicato, mi dicevano che ero piccolo e che non sarei arrivato mai. Il lavoro paga. Ho cercato di stare zitto e lavorare e sono arrivato dove sono arrivato. In prima squadra all'epoca di Mazzarri quando ho iniziato ad allenarmi in prima squadra c'erano ancora le leggende del Triplete e c'era Zanetti all'ultimo anno, avevo gli occhi a cuore, soprattutto Milito, la doppietta in finale di Champions. Emozionante. Quando è arrivato Mancini mi ha convocato, ho fatto l'esordio in EL e ho esordito a fine campionato contro l'Empoli. 

-Che ricordi hai di quell'esordio? 

Era l'ultima partita del girone ed eravamo già passati. C'erano tanti ragazzi della Primavera convocati ma all'epoca c'erano i tre cambi e sono stato fortunato ad esordire. È stato bellissimo, emozioni così si provano una volta sola. Era finita zero a zero ma ho fatto quattro ore di viaggio per tornare a casa ad Appiano e poi allenarmi la mattina dopo. L'anno dopo ho fatto sei mesi in prima squadra, non ho mai giocato e a gennaio sono andato in prestito all'Ascoli in una situazione difficile. Ma è stata un'esperienza bellissima: era la mia prima volta fuori casa. Ero da solo e diciamo che salvarsi all'ultima giornata dopo che era stata in Serie B e ripescata è stato bello. Dopo Ascoli ho fatto Empoli, un anno in cui ho fatto 13-14 gare ma non avevo giocato tanto. L'anno dopo avevo delle squadre che mi volevano per fare la riserva e io non ero d'accordo quindi sono andato in Svizzera dove sono partito con un infortunio al metatarso: 4 mesi fermo. Avevo 19 anni. Poi è cambiato l'allenatore ma a gennaio siamo forse tra ultimi e penultimi il presidente ci mandò a fare una settimana il militare con le forze speciali francesi. Per punizione. Non in caserma, ma nei campi, dormivamo col sacco a pelo in mezzo ai campi, mattina alle sei svegli, camminare 5-6 km fino a che mangiavamo dentro le scatolette e le scaldavamo col fuoco. Robe mai viste, che provi una volta sola nella vita. Io non volevo andare. Il problema era che se non andavi non pagava. Ho discusso con l'allenatore e non ho giocato mai fino alla fine dell'anno. L'Inter mi ha poi riportato in Serie A. Forse stare fuori mi ha fatto capire anche altre culture e ho capito tante cose. Al Parma ho fatto tre-quattro partite, poi mi sono fatto male anche lì e sono rientrato a gennaio e ho giocato davvero poco. 

-Cosa succede nella testa di un giocatore che ha già esordito con l'Inter, cosa ti motivava? 

A Sion volevo smettere, ma chi me lo faceva fare di soffrire così. Ma ti guardi dentro e alla fine il mio obiettivo era solo far ricredere le persone che non credevano in me, alla fine ci sono riuscito facendo il mio percorso. Dopo Parma sono tornato all'Inter, con Conte. Mi ero fatto conoscere ma non è stato Parma a darmi la svolta. Dopo un paio di allenamenti Conte mi dice che voleva restassi ed ero tutto gasato, sono rimasto spiazzato. Alla fine ho fatto sei mesi ma a gennaio ho dovuto supplicarlo per andare via, non mi voleva lasciare andare via ma erano arrivati Young, Moses e da lì sono andato a Verona. Volevo giocare di più. Era bello stare all'Inter ma non mi sentivo né pronto né a mio agio, sentivo che il livello era alto per me. Ho chiesto la cessione in prestito e sono stato un anno e mezzo a Verona. Lì il tecnico mi ha dato la possibilità di esprimere le mie qualità. Nel calcio è facile dire le cose e il direttore del Verona è stato di parola e ogni volta che vedo sia Juric che D'Amico li ringrazio. Mi hanno dato fiducia e io sono andato lì per una mia scelta personale. Ma quando ho preso delle decisioni ho sempre fatto da solo, non mi ha mai consigliato nessuno. Ero convinto che con quell'allenatore e quel modo di giocare potevo svoltare e anche se con grande fatica ho avuto ragione. A Verona sono stato veramente bene. C'è stato poi il covid di mezzo ma è una città che mi ha dato tanto. Mi dispiace aver giocato con lo stadio vuoto, hanno un bel tifo.

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