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Bucciantini: “Inter, il vero capolavoro di Inzaghi ha un nome e un cognome”

Alessandro Cosattini Redattore 
Focus sul centrocampo dell'Inter oggi sulle pagine della Gazzetta dello Sport: ecco l'analisi del noto giornalista Marco Bucciantini

Focus sul centrocampo dell'Inter oggi sulle pagine della Gazzetta dello Sport. Ad analizzare il reparto nerazzurro è il noto giornalista Marco Bucciantini: "Le storie belle cominciano sempre al passato: dopo anni di onorato e crescente servizio, fino alla padronanza del mestiere e della squadra, Marcelo Brozovic dovette fermarsi. Successe il 25 settembre del 2022. Il centrocampista si era stirato il muscolo flessore della coscia sinistra nella partita di Nations League fra Austria e Croazia. Brozovic avrebbe saltato 9 partite. Dopo lo scudetto perso in volata contro il Milan anche per l’appannamento fisico del croato e di Barella (spremuti), l’Inter si era cautelata allungando i cambi nel reparto, prendendo l’armeno Mkhitaryan e il tosco albanese Asllani. Dunque l’incarico nella mediana dell’Inter era pronto per il giovanotto che veniva dall’Empoli. Così fu: Inter-Roma 1-2, quarta sconfitta di un deludente avvio di campionato, immeritata ma un brutto modo di arrivare al redde rationem della doppia sfida in Champions al Barcellona.

Nel girone dominato dal Bayern con gli spagnoli si spareggiava per esistere. Inzaghi arretrò Calhanoglu dietro a Barella e Mkhitaryan, che voleva elevarsi dal programma di subentrante al quale era destinato. Quella sera Luci a San Siro: non si spengeranno più.

È il varo del centrocampo che oggi pare un dono, un capo-lavoro: pensiero, sfida, tre numeri “dieci” che si mettono insieme, associati dal lavoro e da un’idea forte, per coccolare la palla: Inter-Barcellona 1-0, gol di Calha. Il coraggio ha bisogno di segnali e il destino ha bisogno di date, eccola: 4/10/2022. Al ritorno in Catalogna ancora loro e partitissima dell’Inter che crea, segna, spreca, pareggia e comincia la scalata alla finale della Champions.

Le due sfide al Barcellona sono il “c’era una volta” del centrocampo che oggi provoca emozione e turbamento per la fluidità, le precisione, la velocità dello scorrere della palla, quando transita fra loro e verso gli esterni o gli avanti, e rassicura per la serietà e la solidarietà che lo compattano. Calhanoglu fa convergere il discorso e già c’ispirò l’elegia, su questi spazi rosa: “È un numero dieci, pensa in avanti (nel campo, nel tempo) come fa un numero dieci, muove la palla come se fosse esercizio naturale: da numero dieci. E gioca davanti alla difesa, e dietro le mezze ali, gli attaccanti: dove gioca oggi un numero dieci, sottratto dall’intensità forsennata che intasa la trequarti. Hakan è la consolazione che un numero dieci serve sempre, è il sogno che non è possibile sradicare o cancellare dal campo di calcio”.


Pensarlo lì - e organizzare i dintorni - è però il merito di Inzaghi , che non ha l’eloquio del profeta e tocca agli altri raccontare. Anche la seconda vita del professor Mkhitaryan: di solito, all’imbrunire delle forze il lavoro si riduce per lasciarne intatta la resa. All’armeno è successo l’opposto, a 35 anni è ormai un tuttocampista che offre l’intelligenza calcistica affinata dalle molte informazioni immagazzinate in carriera. Il suo intuito per lo spazio giusto da occupare, per la trama da assecondare per procedere in avanti col gioco, la sua verticalità di pensiero sono diventati detonatore di una squadra che si esalta mentre si srotola verso il gol. Per tutto il resto c’è Barella, la cassa dritta della squadra, l’anima pura, la dinamo che più si muove più accumula energia da spendere, capace di contestare ogni centimetro di campo così come di giocate “laterali”, le più creative, le più coraggiose.

Il coraggio, appunto.

Nel momento difficile - l’infortunio di Brozovic - Inzaghi ha avuto una visione e oggi ha un capolavoro fra le mani", si legge.


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