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"Non era poco ma diventò “giusto” dopo quella finale che certificò anche un’altra verità. L’Inter è la squadra italiana più forte, da qualche anno. Da quella sera, lo sanno anche loro, i nerazzurri. E da quella sera vanno in campo per confermarsi in questa nuova consapevolezza. C’è sempre qualcosa di sobrio in “come” lo fa l’Inter".
"Per questo è l’altro lato, l’altro modo, eppure è lì. C’è la facilità del Bayern, la grandezza del Real, l’opulenza calcistica del City che conclude una partita (facile) di Champions come fosse una pura esercitazione. Inter che ha Lautaro, attaccante che sta dentro le taglie conosciute ma le veste benissimo. Difficile da caratterizzare: non è più veloce di altri, non è tecnicamente sfacciato, non è atleticamente immarcabile. È semplicemente forte ed ha un pensiero velocissimo con il quale anticipa il ritmo degli avversari, si guadagna quello spazio e poi non lo trovi più, poi è tiro, poi è gol".
"Il suo allenatore ha molti meriti ma non riuscirà mai a raccontarli bene, non è cresciuto in quel solco del piacere teorico e divulgativo, al limite (nei tempi di magra) snocciolava l’elenco delle vittorie che tra l’altro continua ad aggiornare. Sembra assorbire le esperienze nel verso giusto, setacciando l’essenza. Ma non è estroverso, non ha il distacco accademico a fine partita, non ha il gusto della retorica in presentazione".
"Si finisce per essere giudicati per quello che si sembra ma a lui non interessa e questa probabilmente è la sua vera forza perché non si fa corrompere dalle situazioni. È sicuro del fatto suo. La società ha irrobustito ogni anno la squadra come poteva, nei vincoli di una proprietà che l’ha collocata in cima ma non può svilupparla in modo concorrenziale agli emiri, ai fondi internazionali".
(Gazzetta dello Sport)
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