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Dalle colonne della Gazzetta dello Sport, Marco Bucciantini analizza la prima stagione con la maglia dell'Inter di Marcus Thuram. Il giornalista fa un paragone tra l'attaccante e Samuel Eto'o. "È una dote ricca quella che ha portato con sé Thuram. Come la sua azione in campo, la sua forza si diffonde dappertutto. Ha cresciuto la credibilità dell’Inter, rafforzando la vocazione della dirigenza, che con lui ha sbrigato un’operazione in genesi quasi ovvia e poi l’ha consolidata e magnificata facendosi con Thuram scudo davanti alle inquietudini di Lukaku, percependo in fretta (insieme all’allenatore) di poter azzardare un rimescolamento delle gerarchie, con Thuram che da terzo uomo diventa già in estate il titolare “scelto”. Con lui, poi - questo fatto va evidenziato ogni volta, ha un suo valore - si è proseguita la ricerca del “linguaggio” comune, nel senso proprio del termine. Thuram è nato e cresciuto in Italia, dov’è rimasto fino ai 9 anni. Oltre ai sei azzurri in squadra, il discorso vale anche per Asllani. Poi altri titolari come Calhanoglu e Lautaro hanno ormai confidenza con usi, lingua e costumi: insomma, Thuram s’è incastrato perfettamente nel “blocco”.
"Poi c’è la duttilità tattica e agonistica del calciatore che in campo può sdoppiarsi fra i due ruoli dell’attacco dell’Inter. Infine, c’è il sentimento che crea senso di appartenenza , legame fra il popolo intorno alla squadra e i giocatori. Gli atleti che consumano tutto quello che hanno, che esprimono tutte le loro emozioni, che difendono un valore al di sopra della qualità della prestazione provocano questo senso aperto, fertile, decisivo. Thuram si è messo a disposizione in modo pieno. Dell’allenatore (insieme agli altri, sublimando l’idea di gioco) e dei tifosi, assicurando loro il coraggio, l’applicazione e ricevendo di conseguenza affetto. Serve sempre il cuore e serve sempre un gol, anche ai campioni. Servì anche a Samuel Eto’o, un giocatore al quale viene naturale accostare l’idolo di oggi proprio se cerchiamo quel senso, se abbiamo capito quel senso, qual finire sottopelle a una squadra, a uno stadio. Premettiamo una verità: l’altro, il camerunese, fu fuoriclasse. E lo fu in tempi in cui la Serie A era bazzicata dai Palloni d’oro, alla fine del decennio che portò tre Champions".
"Era un’Internazionale (vera) di campioni, di personalità, di leader che anche nel ricordo lottano per la parte. Quella di oggi (meno forte, meno competitiva ma con vette di armonia e di gioco superiori per impressione) è più una cooperativa dove ogni socio accetta di investire la sua fatica e il suo talento che insieme, raggruppato, è diventato un tesoro: per certi aspetti, una lezione. Ma in ogni storia riuscita bisogna collocare le persone giuste nei ruoli giusti, trovare in ogni pagina una virtù e qualcuno che la incarna e la impone, e altri che la minacciano, sconfitti. Thuram ha preso quel posto e lo esalta proprio quando può rimettersi al centro, in assenza di Lautaro, con Sanchez che lo assiste e lui che segna, come a dire: potrei fare anche questo, ma serve altro, serve di più".
(Gazzetta dello Sport)
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