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Busio: “Papà tifa Inter, guardavo le partite assieme a lui. Al Venezia ho libertà”

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Intervenuto ai microfoni di SportWeek, inserto de La Gazzetta dello Sport, Gianluca Busio, fantasista del Venezia, ha parlato così

Matteo Pifferi

Intervenuto ai microfoni di SportWeek, inserto de La Gazzetta dello Sport, Gianluca Busio, fantasista del Venezia, ha parlato così della sua passione per il calcio.

Come entra il calcio nella tua vita?

"Papà è tifoso dell’Inter e ogni settimana guarda la partita di Serie A trasmessa negli Stati Uniti. Poi anche mio fratello giocava a calcio; come succede spesso coi fratelli minori, ho voluto imitarlo. Adesso Matteo è a farmi compagnia qui in Italia".

Rispetto a lui sei stato più bravo o fortunato?

"Abbiamo giocato tante volte contro. Ci siamo sfidati uno contro uno dovunque capitava. Fino a due anni fa era più bravo lui, anche soltanto per una questione fisica: ha cinque anni più di me, è ovvio che soprattutto da ragazzini fosse difficile portargli via la palla o vincere un contrasto spalla a spalla. Adesso posso dire che, sì, sono un po’ più bravo di lui".

A 15 anni eri già professionista, il secondo più giovane della storia dopo Freddy Adu a riuscirci. Negli Stati Uniti è tanto più facile sfondare nel calcio?

"È certamente più facile, anche perché, in America, il focus sportivo non è sul calcio. Ci sono tante discipline più importanti, perché attirano più attenzioni e appassionati: baseball, basket, football americano. Con questo non voglio dire che sia semplice diventare un calciatore: il movimento è in rapida crescita, ma anche nei prossimi anni non sarà paragonabile alla Serie A, per esempio. Quindi, sì, dalle mie parti è più facile diventare calciatore rispetto all’Italia".

Al Venezia sei subito diventato titolare: qual è la differenza più grossa, e quindi la difficoltà maggiore che hai dovuto superare, rispetto al calcio cui eri abituato?

"Il vostro calcio è più veloce, tattico e aggressivo. In questo senso non c’è paragone con quello americano. Qui non c’è margine di errore: se sbagli, vieni punito. Prendi gol. Nella Mls non va necessariamente così. E poi, in Italia i giocatori sono anche più strutturati fisicamente".

Il Venezia è una squadra multirazziale e multiculturale: paradossalmente, questo può aver aiutato il tuo inserimento?

"Sì. Tutti i compagni stranieri stanno studiando la vostra lingua, ma quasi tutti parlano inglese, italiani compresi. O almeno si sforzano. Questo fa sì che la squadra sia diventata in fretta un gruppo".

Cosa ti chiede Paolo Zanetti, il tuo allenatore?

"Attenzione tattica in fase difensiva. Vale per me e per tutti i miei compagni: ognuno di noi sa come muoversi e cosa fare quando ci difendiamo, ogni dettaglio è studiato a tavolino, per reparti e per singoli. Quando invece abbiamo la palla tra i piedi ci viene concessa più libertà. E per un giocatore creativo come me, questo è un aspetto importante".

Tu hai iniziato da attaccante, facendo tutti i ruoli davanti. Poi hai arretrato la tua posizione: è successo perché non segnavi abbastanza? E nella nuova posizione a centrocampo hai trovato la tua dimensione?

(ride) "In realtà non ho proprio iniziato da attaccante. Ho giocato davanti per necessità, perché si erano fatti male compagni che occupavano normalmente le posizioni offensive. Ho sempre voluto giocare a centrocampo, è una zona di campo che mi sento cucita addosso. Certamente mi piace attaccare. L’importante è avere la possibilità di toccare molti palloni, adoro essere coinvolto nel gioco".

Eri già stato in Italia prima di venire in Laguna?

"Sono stato tante volte a Brescia a trovare nonno e nonna (usa proprio questi termini) e poi avevo visitato anche Venezia. È vero: è davvero una città unica al mondo".

Dunque, quando è arrivata la chiamata del club, non ti sei chiesto: dove sta Venezia?

"Più che altro non sapevo quale campionato facesse il club, questo sì. Quando ho visto che giocava in Serie A, non ho avuto dubbi".

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