Intervenuto a La Gazzetta dello Sport, il presidente del Torino Ubrano Cairo ha ricordato Sinisa Mihajlovic con cui ha lavorato assieme proprio nel club granata:
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Cairo: “Mihajlovic un combattente, non accettava l’idea di arrendersi. Ci mancherai”
Presidente Cairo, come ha vissuto la notizia?
—«Ero in contatto con alcune persone vicine alla famiglia e da poco, purtroppo, avevo saputo che le cose stavano peggiorando... Dopo il suo esonero dal Bologna ci eravamo sentiti subito: era come sempre tonico, voglioso di stare meglio per riprendere la sua vita a 360 gradi. Era rimasto sempre lo stesso, vitale, entusiasta. Qualche giorno fa, poco prima di sapere del peggioramento delle sue condizioni, avevo proprio pensato a lui. Mi dicevo: “Chissà come starà adesso Sinisa perché è un po’ che non lo sento...”. E invece poi, giusto nell’ultima settimana, si è aggravato».
Come ha vissuto da amico il momento della sua malattia?
—«Ricordo dov’ero quando arrivò la notizia: era luglio 2019, andavo al mare dalla mia famiglia. Gli mandai un semplice messaggio per dirgli che, se potevo essere d’aiuto, sarei stato a sua totale disposizione. Mi aveva subito chiamato e da lì siamo rimasti in contatto durante tutto quel periodo di cure. Vederlo riprendersi è stato un sollievo. Tra l’altro, quel ritiro del Bologna che aveva guidato quasi “da remoto” aveva anticipato ciò che sarebbe poi stato per tutti il periodo della pandemia. Ma lui aveva superato quella difficoltà con efficacia perché sapeva motivare tutti, gli bastava una parola per spingere a dare il meglio. Soprattutto sapeva ispirare i giovani, era bravissimo con loro: ha lanciato Donnarumma al Milan e da noi ha fatto esplodere Lukic e fatto fare una grande stagione a Ljajic».
Nel rapporto presidente-allenatore, qual è la dote professionale e umana di Sinisa che più le è rimasta dentro?
—«Il coraggio. Un uomo di grande coraggio, forza, che non sopportava l’idea di arrendersi o mollare. Era davvero indomito: lo è stato, e molto, nella malattia, ma anche nella vita. Non si preoccupava inutilmente, affrontava tutto a petto in fuori, senza timori. Come tecnico, poi, sapeva come riunire attorno a sé i calciatori, andando sempre all’attacco: il suo calcio era offensivo, arrembante. E poi affascinava anche per la sua carriera da calciatore: rivedere le sue punizioni era sempre un piacere».
Mihajlovic ha scelto di vivere la sua malattia in pubblico, senza paura di mostrarsi fragile: quanto è servito a chi viveva e vive ancora la stessa condizione?
—«Voleva dare coraggio così: l’essersi mostrato come effettivamente era davanti alla leucemia è stato di conforto a tanti che si sono riconosciuti in lui. Nella sua bellissima autobiografia si è messo a nudo anche da questo punto di vista».
Se potesse mandargli adesso un ultimo messaggio, cosa scriverebbe?
—«È stato bello conoscerti, mister. E grazie, grazie di tutto».
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