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Caputo: “L’idea di noi calciatori è di riprendere, anche in estate. Vi racconto il mio cartello”

Marco Astori

Le parole dell'attaccante del Sassuolo

Lunga intervista concessa da Ciccio Caputo, centravanti del Sassuolo, ai microfoni del Corriere dello Sport. Il tema principalmente affrontato dal giocatore è stato quello del Coronavirus.

«Mia moglie mi aveva suggerito di mandare un messaggio al Paese in un momento di difficoltà, ma l’idea del cartello e quello che ci ho scritto sopra sono farina del mio sacco. Non l’ho detto a nessuno, neppure ad Anna Maria che davanti alla tv insieme ai bambini non sapeva cosa avrei fatto. L’unico al corrente era il team manager (Massimiliano Fusani, ndr) che me lo ha passato quando ha visto che avevo segnato».

Messaggio giusto che tanti italiani hanno ascoltato, mentre altri... no. E le multe fioccano.

«In quel momento era la cosa giusta da scrivere: un invito a comportarsi in modo responsabile, ma anche una frase carica di speranza, arrivata a tante famiglie in Italia e all’estero. Diversi amici mi hanno scritto dicendomi che era stato davvero un bel gesto. Sono felice di averlo fatto».

Adesso è in casa come tanti italiani che rispettano diligentemente le regole. Come va?

«Bene. Vivo in centro a Modena insieme a mia moglie Anna Maria e ai miei figli Sofia di 11 anni, Jacopo di 6 e Brando di 4. Esco una sola volta a settimana per fare la spesa, poi stop. Dal punto di vista professionale non è una situazione facile perché noi calciatori siamo abituati ad allenarci, a viaggiare e ad avere una vita movimentata, con l’adrenalina che ti scorre sempre in corpo. Stare fermi così a lungo, senza allenarsi sul campo e senza giocare, non è facile. Soprattutto a livello mentale».

Cosa ha pensato quando a gennaio si è sparsa la notizia del Covid-19 in Cina?

«Sinceramente? Non avrei mai immaginato che potesse arrivare qua in Italia e fare tutti questi morti. Il tempo e il modo per evitare quello che è successo c’erano, ma ormai è inutile parlarne».

Tra vent’anni quale sarà l’immagine simbolo di questa pandemia?

«I militari che a Bergamo portano via sui loro mezzi tutte quelle bare. Un’immagine simile me la ricorderò io, ma quando saranno più grandi la vedranno e non la dimenticheranno neppure quelli che adesso sono bambini. Certi fatti ti segnano a lungo, come è successo a tante persone che hanno visto cose terribili durante una guerra».

In Serie A sono stati 16 finora i calciatori positivi.

«La cosa più importante è che nessuno abbia avuto problemi gravi. Intendo niente ricovero in ospedale e nessun rischio di vita. Forse il modo in cui curiamo il nostro fisico, l’attività sportiva, i controlli e la vita sana hanno permesso a noi giocatori di limitare gli effetti del virus».

«Un numero pazzesco che fa rabbrividire e lascia un senso di profonda tristezza».

Il pallone tornerà a rotolare in questa stagione oppure...

«L’idea che tutti noi calciatori abbiamo è quella di concludere il campionato. Anche in estate. Ci dovranno essere le condizioni, ma prendendo le dovute precauzioni sia per noi sia per le persone che lavorano nel calcio, credo sia giusto arrivare alla fine. Se il campionato tornerà, il messaggio sarà positivo per tutto il Paese. Magari giocare a porte chiuse non sarà il massimo, ma ripartire vorrà dire aver compiuto il primo passo verso il ritorno alla normalità».

Come cambierà la nostra vita quotidiana dopo questa pandemia?

«Ci segnerà, questo è certo. Sono convinto che saremo molto più attenti ad avere contatti con la gente, ad andare nei posti affollati, magari a usare i mezzi pubblici: molte delle nostre abitudini scompariranno. Almeno fino a quando non ci sarà un vaccino».

Pensare a stadi non più pieni come in passato le mette tristezza?

«Andare allo stadio è gioia e per noi calciatori vedere i tifosi sugli spalti è bello. Inizialmente immagino che ci saranno un po’ di timori da parte della gente, ma non appena si potrà tornare a fare il tifo in condizioni sicure, il clima attorno alle partite sarà di nuovo avvincente».