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Carrozzieri: “Nonnismo con Ranocchia? Vi spiego tutto. A 15 anni era duro. Con lui…”

In seguito alle frasi di Ranocchia sul 'nonnismo', a suo dire subito ai tempi dell'Arezzo, uno dei giocatori chiamati in causa, Moris Carrozzieri, ha raccontato la sua versione

Dario Di Noi

Lo scorso 13 ottobre, in un’intervista concessa al Corriere della Sera, Andrea Ranocchia aveva stupito molti addetti ai lavori con dichiarazioni forti sul suo passato all’Arezzo. L’ex capitano dell’Inter, nel ripercorrere la sua carriera, affrontò un tema delicato: il "nonnismo", subito - a quanto racconta - nello spogliatoio toscano.

Queste le sue dichiarazioni: "Sono retrocesso dalla B alla C con l’Arezzo di Conte. Ho iniziato a giocare negli anni del nonnismo pesante in spogliatoio, mentre ora è quasi sparito. Persecutori? Carrozzieri, Abbruscato e Mirko Conte nell’Arezzo, avevo 17 anni e come se non bastasse andavamo a giocare in campi terribili: l’Arezzo era la squadra più a nord del girone".

Parole lette e ascoltate anche da Moris Carrozzieri, uno dei tre giocatori tirati in ballo nell’intervista. L’ex difensore, ospite negli studi di Sportitalia, ha commentato così il pensiero di Ranocchia: "Cosa combinavamo? Forse ci deve ringraziare, perché è arrivato all’Inter e in Nazionale, quindi... (ride). Aveva davanti a sè due difensori come me e Mirko Conte, forse ci deve ringraziare. Se lo picchiavamo? Allora, io con Ranocchia non ci ho mai giocato, ci ho fatto solo degli allenamenti. Era un ragazzo che veniva dalla Primavera e io sono stato lì nel 2005, venivo dalla Sampdoria e ci ho fatto un solo anno. Da lì io sono andato all’Atalanta e anche Abbruscato è partito, per andare al Torino.

Lui ha giocato in prima squadra l’anno con Antonio Conte, mentre io col mister non ci ho mai giocato. Ranocchia, finiti gli allenamenti, passava lì dal campo della prima squadra e si fermava a vedere i miei di allenamenti. A volte lui si allenava con noi in prima squadra, nell’anno della Serie B quando aveva 16 anni. Siccome vedevo un ragazzo che apprendeva molto bene e un giocatore bravo, mi mettevo punta per farmi marcare da lui. E lui questa cosa la apprezzava molto. Chiedevo al mister di farmi giocare in attacco per insegnargli certe cose. E infatti lui l’anno dopo ha fatto subito la Serie B e dopo è andato in A. Era un ragazzo che già a quell’età era cattivo e duro. Già a 15-16 anni si vedeva che sarebbe arrivato a giocare ad alti livelli. Io quando ho letto queste dichiarazioni ho fatto qualche chiamata, ho telefonato a Mirko Conte e Abbruscato: secondo noi, lui ha interpretato queste parole in senso positivo. Era una cosa fatta per lui, lo si riprendeva per aiutarlo. Succedeva in allenamento, perché io in partita non ci ho mai giocato.

Qualcosa di duro nello spogliatoio? Ma no, assolutamente no, lui nemmeno si cambiava con noi. Era un ragazzo della Primavera. Non so perché ci abbia tirato in mezzo, non l’ho sentito, ma 10 giorni fa il Lugano ha fatto un’amichevole con l’Inter e Mirko Conte ci ha parlato. Mirko mi ha detto: "Guarda Moris che a me non ha detto niente. Mi ha accennato solo cose sui ragazzi di adesso, ma su di noi non mi ha detto proprio niente". Non so come mai abbia tirato fuori questa cosa. Io nella mia carriera mi sono sempre fatto rispettare negli spogliatoi, questo sì. Ma non ho mai appeso nessuno al muro, non ho mai alzato le mani. Ho giocato anche con Cassano 3 anni, per me è un fratello. Quando eravamo a Bari lui veniva dagli Allievi in Primavera, ma quando ci veniva stava buono, perché sapeva che sarebbe dovuto rimanere al posto suo. Nessuno gli diceva qualcosa, sapeva da sè. Le cose gliele facevi capire durante gli allenamenti e magari con qualche entrata in partitella. Era facile, così lo capiva che doveva stare buono. Mi ricordo un episodio con allenatore Fascetti. Il Bari come prima squadra stava retrocedendo, mentre la Primavera quell’anno stava andando a vincere lo Scudetto. Noi della Primavera facciamo un’amichevole contro di loro e Fascetti viene nello spogliatoio per parlare con Cassano: "Mi raccomando te, non incominciare a fare numeri…". Inizia la partita e noi abbiamo il nostro schema: battere da centrocampo, palla a me che lancio lungo per la spizzata. Lo schema viene alla perfezione, la palla alta arriva a Cassano. Si gira, guarda avanti, no look e tunnel a Garcia. 20 secondi di partita, Garcia si gira e gli dà un colpo: Cassano a terra.

Fascetti lo richiama e lo manda a fare la doccia. Cassano risponde: "Vado a fare la doccia perché a me non mi prende nessuno, a 15 anni". Capito com’era Cassano? Ma questo atteggiamento degli altri giocatori non penso sia 'nonnismo', sono cose che capitano. A volte la squadra è in difficoltà, è nervosa, magari arriva qualche ragazzino che si vuole mettere in mostra e vuole provare a fare il tunnel: lì la stecca ci sta. Oggi invece mi sembra che i ragazzini se ne freghino di tutto e di tutti. Io ricordo che quando sono arrivato dalla Primavera alla prima squadra osservavo sempre ed ero l’ultimo ad andare via. Io ho avuto anche ottimi esempi in squadra, come Bonaventura. Quando giocavo all’Atalanta, veniva sempre ad allenarsi con noi in prima squadra: un ragazzo di un’umiltà totale, e si vede dove è arrivato. Ci sono ragazzi che lo capiscono e altri no. Io in campo predicavo con tutti e poi a fine gara abbracciavo tutti. Era una cosa mia, del mio carattere, per tenere tutti svegli. Io predicavo con tutti, con Pastore, con Cavani, con tutti. Però era il mio carattere.

Se Cavani mi faceva arrabbiare? Edi a volte faceva delle robe impressionanti. Mi sbagliava il gol facile e poi ne faceva uno impossibile, però è un ragazzo a cui non puoi dire nulla a livello di impegno. Questo, quando l’arbitro fischiava la fine della partita dopo 95 minuti, continuava a correre. Che gli dici a un ragazzo così? Arrivava a mezzogiorno al campo e se ne andava via alle sette di sera. Non gli puoi dire niente, però gli rompevamo spesso le palle. Lui era appena arrivato a Palermo, c’eravamo io, Liverani, Miccoli, Sirigu… In un gruppo, o segui la gente oppure ti emargini da solo. E quindi i ragazzi seguivano questo gruppo, dei più vecchi ed esperti. Così Abel Hernandez, che è arrivato giovanissimo. Lì o seguivi Miccoli, Cavani e gli altri, oppure ti saresti eliminato da solo. Noi davamo l’esempio: se il ragazzo ti seguiva bene, se no finiva per emarginarsi da solo. Adesso invece, se tu fai così, i ragazzi pensano che li fai del male e che li vuoi fuori perché sei più grande. Invece non capiscono che così si fanno del male da soli".

(Sportitalia)