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In cosa?
—"Come calciatore, quello inglese è il campionato che mi si adatta meglio, per fisicità, ritmo e intensità di gioco. In Premier non ho ancora esordito e lavoro per arrivarci. Come persona, andare a vivere in un altro Paese, lontano dai punti di riferimento abituali rappresentati da parenti e amici, mi ha costretto, diciamo così, a impratichirmi in fretta in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Anche a Milano ero solo, ma esserlo in Inghilterra è ovviamente un’altra cosa. Mi sono dovuto arrangiare in tutto e per tutto".
Cosa ti ha colpito, dell’ambiente Chelsea?
—"In prima squadra sono stato poco, giusto un paio di mesi, dopo essere salito dall’Under 21, ma sono rimasto impressionato dall’umiltà e dallo spirito di collaborazione all’interno del gruppo. I compagni mi hanno subito fatto sentire uno di loro, aiutandomi dentro e fuori dal campo".
Con chi hai legato di più?
—"All’inizio soprattutto, quando con la lingua ancora facevo fatica, mi sono appoggiato a quelli che parlavano italiano: Jorginho, che dal primo giorno mi è stato vicino, Thiago Silva, Koulibaly, Kovacic…".
Frattesi, che ha richieste pure dalla Premier, vuole restare in Italia. Tu che sei qui, vorresti tornare?
—"Rispondo in totale sincerità: ho appena finito la stagione e per qualche giorno voglio disconnettermi dal calcio. Dopo, dipenderà dalle opzioni sul tavolo e dalle mie valutazioni. Ma col Chelsea ho un contratto di altri cinque anni: ho intrapreso un percorso che non è a breve termine. Il club sta investendo sui giovani e io punto a far parte del suo progetto. La mia ambizione è vestire quella maglia e giocare in Premier, che è oggi la lega numero uno al mondo".
Cosa significa per il nostro calcio il secondo posto al Mondiale Under 20?
—"Possiamo aver aperto gli occhi a tutti, dimostrando che in Italia i giovani ci sono. Questo non vuol dire che bisogna regalargli fiducia senza che loro trasmettano qualcosa, però diciamo che servono anche i presupposti perché un ragazzo ci riesca".
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