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Come giudica il 2023?
—«È stata una stagione sportiva di ripresa, se prendiamo i risultati nelle coppe, la qualificazione dell’Italia agli Europei, lo scudetto del Napoli dopo 22 anni di alternanza tra Torino e Milano, il ritorno dei tifosi negli stadi. Meno buoni sono stati alcuni interventi legislativi, con impatto negativo sulla serie A».
La perdita dei benefici fiscali garantiti dal decreto crescita danneggia il sistema?
—«Nell’immediato, certo. Si riduce la competitività delle squadre sul mercato e soprattutto si produce il paradosso per cui il beneficio impatriati varrà per i redditi fino a 600 mila euro, con effetti opposti a quelli voluti con le modifiche di un anno fa, quando si stabilì che il bonus era applicabile solo per stipendi sopra il milione e per giocatori di almeno 20 anni. La soppressione è stata una scelta incomprensibile e temo demagogica: una moratoria di qualche anno era la via più logica e di maggior aiuto per vivai e giovani italiani, che all’improvviso avranno minori risorse e maggior concorrenza».
Ha fiducia che il testo possa ancora essere modificato in Parlamento?
—«Se l’uomo non spera l’insperabile, mai lo troverà, diceva Eraclito».
Non ritiene che il movimento italiano ne potrà beneficiare?
—«Nessuno nega che nel lungo periodo ciò possa avvenire. Ma i tanti stranieri sono arrivati per effetto della sentenza Bosman non del decreto crescita. E in Italia le regole sull’arrivo di nuovi calciatori extra comunitari sono tra le più restrittive d’Europa. Nell’immediato, diminuiranno gli stranieri più forti».
La sentenza della Corte di giustizia europea ha riportato d’attualità la Superlega.
—«La Corte non ha censurato il monopolio in sé della Uefa, ma i possibili abusi da posizione dominante. Non condanna il sistema piramidale del calcio, ma indica correttivi».
Non è preoccupato dal possibile esodo di squadre italiane?
—«La Lega difende la centralità dei campionati nazionali. Questa vicenda può essere un’opportunità per tutti, anche per Uefa e Fifa, per migliorare il funzionamento delle istituzioni sportive. E può essere un’occasione per riconoscere alle leghe un maggior peso a tutela di tutti i club».
Fra due settimane si disputerà la Supercoppa in Arabia, mai come in questa edizione accompagnata da polemiche. Esiste davvero la necessità di disputare un torneo nazionale oltre frontiera, in un Paese dove la tutela dei diritti umani non è obiettivo primario?
—«Su 35 edizioni, 12 volte è stata giocata all’estero, in Cina, Libia, Qatar e Stati Uniti. Questa sarà la quarta volta in Arabia Saudita. Nel basket, la Nba organizza partite fuori dagli Usa da trent’anni: nel 1988 gli Hawks di Dominique Wilkins giocarono in Urss… Lo scopo non è solo commerciale: lo sport è sempre stato uno straordinario strumento di solidarietà e dialogo, anche culturale».
Soddisfatto degli importi iniettati nelle casse della Lega dopo la recente assegnazione dei diritti televisivi?
—«Il contesto non era semplice. Lo dimostra il fatto che la Premier League ha dovuto aumentare il numero di partite messe in vendita».
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