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Cerruti: “Mancini non farà  la fine di Sacchi. Kovacic? Un sopravvalutato. Ma perché Thohir…”

Il noto editorialista della Gazzetta dello Sport, Alberto Cerreti ha parlato in merito alla situazione dell’Inter e del suo allenatore Mancini: “La sconfitta contro la Fiorentina, quinta in assoluto della sua gestione, terza in casa dopo...

Riccardo Fusato

Il noto editorialista della Gazzetta dello Sport, Alberto Cerreti ha parlato in merito alla situazione dell’Inter e del suo allenatore Mancini: “La sconfitta contro la Fiorentina, quinta in assoluto della sua gestione, terza in casa dopo quelle contro Udinese e Torino, ripropone un interrogativo: chi gliel’ha fatto fare a Mancini di tornare dove aveva già vinto, per guidare un’Inter nettamente inferiore a quella lasciata nel 2008, tra l’altro in corsa e non all’inizio della stagione? La risposta l’aveva fornita lo stesso Mancini nella sua presentazione, dicendo che l’amore per l’Inter era troppo forte per rifiutare.

Guarda caso, la stessa motivazione che aveva spinto prima Sacchi e poi Capello a tornare al Milan, dopo aver vinto ancora più di lui. Comprendo, quindi, lo scomodo paragone con altri grandi ritorni, rivelatisi poi fallimentari, anche se bisogna distinguere tra chi come Capello è arrivato all’inizio, chiudendo al decimo posto nel 1998, e chi come Sacchi è invece subentrato in corsa, a Tabarez, il 2 dicembre 1996.

Visto che Mancini è stato chiamato per far meglio subito, come Sacchi allora, soltanto questo è il vero precedente per il quale i tifosi nerazzurri sono autorizzati a fare gli scongiuri. Anche Sacchi, infatti, fu chiamato dopo 11 giornate, le stesse concesse a Mazzarri.  Anche allora c’era il tempo per migliorare e invece quel Milan, nono a 7 punti dalla vetta, finì undicesimo: fin qui il piazzamento peggiore della gestione-Berlusconi, a 22 punti dalla Juve di Lippi campione d’Italia.  Agli interisti che non gradiscono i confronti con i rivali ricordo che anche Herrera, dopo aver vinto tutto negli anni Sessanta, fallì al suo ritorno, arrivando soltanto quarto nel 1974. Eppure, nonostante questi precedenti poco incoraggianti, il caso di Mancini è diverso perché, al contrario di Herrera, Sacchi e Capello, il tecnico dei primi scudetti di Massimo Moratti ha la certezza di rimanere il prossimo anno, a prescindere da come finirà questa stagione.

Non si tratta quindi soltanto di un’operazione di nostalgica urgenza, come dimostra l’abbondante campagna acquisti invernale. Semmai, visto che lo slogan aziendale recita «la strada è giusta» anteponendo il futuro al presente, e visto che lo stesso Mancini ha ripetuto che questa squadra con Mazzarri «probabilmente avrebbe qualche punto in più», c’è da chiedersi perché Thohir abbia avuto tanta fretta di cambiare l’allenatore, compromettendo i traguardi immediati. Se contano i numeri, infatti, Mazzarri lasciò l’Inter al nono posto a 5 punti dal terzo del Napoli e a 3 dal quinto della Lazio, rispettivamente in zona Champions ed Europa League. Oggi, invece, malgrado i dispendiosi inserimenti di Podolski, Shaqiri, Brozovic e Santon, l’Inter è sempre nona, ma a 10 punti dal terzo posto del Napoli e a 7 dal quinto della Fiorentina. Perché, al di là delle simpatie personali, in campo vanno i giocatori.

E se la difesa continua a sbandare, con o senza il timido Ranocchia, mentre il ritrovato Guarin non basta per mascherare i limiti di personalità degli altri centrocampisti, a cominciare dal sopravvalutato Kovacic, Mancini non può fare miracoli. Come non li poteva fare Mazzarri che bene o male, però, un anno fa portò l’Inter al quinto posto, con vista sull’Europa. "