-Cosa pensa un giocatore in un impegno importante?
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Quando vai in campo non c'è più emozione, quello che accadrà con tutte le informazioni e conoscenze su determinati giocatori, sai qualità e punti forti. Quando entri in campo, dopo il riscaldamento, non pensi in più all'emozione perché sei concentrato su quello che devi dare per contribuire al bene della squadra. Sicuramente deve lavorare individualmente ma devi pensare alla squadra. Una partita in cui ero particolarmente emozionato? Bello essere emozionati ed ero preoccupato quando non ce l'avevo proprio l'emozione, potevo arrivare svuotato dopo diverse partite giocate. L'emozione ti serve ad essere carico e per alzare il livello mi davo due pizze in faccia, urlavo e gridavo per tirarmi su. Quando andavo in campo vuoto le prestazioni erano imbarazzanti.
-Rimpianti?
Non mi guardo mai indietro. Dagli errori ho imparato tanto e bisogna farli per imparare. Il segreto sta nel capire dove hai sbagliato e cosa non ripetere. Gli errori fanno parte del processo di crescita dal punto di vista umano e non solo e servono per gestire certe situazioni che capitano nella vita. Non spreco tempo al passato e neanche troppo avanti nel futuro.
-Il mio ritiro?
L'infortunio al piede ha facilitato il mio addio al calcio. Sono uno equilibrato ma deciso nel prendere le decisioni. La frattura alla testa mi ha dato qualcosa in più nella consapevolezza. Mi ha fatto vedere la mia vita da calciatore in maniera diversa. Passati un po' di anni è arrivato appunto il problema al piede che non mi permetteva più di camminare dal dolore alla fascia plantare. Oggi sono grato e contento di fare qualche corsa e qualche partitella con gli amici.
Con Spalletti ho sempre avuto un ottimo rapporto anche perché papà faceva l'allenatore e per questo ogni allenatore ha avuto tanto rispetto conoscendo il lavoro che c'è dietro che si preoccupa anche quando torna a casa. Adesso lo sto vivendo anche io. Sua evoluzione? Sempre uguale ma è migliorato nella flessibilità. L'esperienza all'estero lo ha fatto diventare più aperto su certe situazioni. A volte non si esce dallo stesso modulo ma più apertura hai e più sai trasmettere alla squadra e far crescere i calciatori a livello individuale. È migliorato nelle letture, nelle capacità di capire un gruppo. A livello comunicativo è sempre stato così.
-Capello?
Mi ha aiutato tanto. Avevo libertà quando aveva palla tra i piedi, imbucavo, mi sganciavo. Io facevo il centrocampista d'attacco da giovane e mi ha facilitato tutto. In Italia era dura, ogni squadra ti metteva in difficoltà. Sono migliorato sull'attenzione, ogni squadra aveva qualità e ho imparato ad essere più concentrato e presente nella partita. A volte credevo fossero semplici le letture ed ero istintivo e a volte qualche errore l'ho fatto per presunzione.
-Uno che avresti voluto come allenatore?
Non ne ho uno, ho avuto grandi allenatori che mi hanno dato tanto. Anche loro hanno avuto la fortuna di avere me.
-Chivu-Samuel tra le coppie più forti del calcio italiano?
15 gol subiti nell'anno di Capello e ne avevamo presi tre a campionato finito. Abbiamo fatto anche dieci partite senza subire gol e Chevanton ci aveva rotto il filotto, abbiamo rosicato di brutto. Era una cosa di tutto il reparto difensivo. Tanta paura l'anno dopo di retrocedere. Ho perso poche partite e quell'anno, nonostante fossimo forti con dentro Cassano, Montella e Totti, quando affossi se non esci subito ti affossi ancora di più. Nonostante le qualità non sai arrampicarti per lottare per la retrocessione. Avevamo paura, 11 gare senza vincere, quel derby 0-0 volemose bene, un punto importantissimo in quel momento. Le tabelle erano importanti. Siamo andati a Bergamo a giocarci la salvezza e abbiamo vinto uno a zero con gol di Cassano.
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