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Ci sono delle ragioni tattiche dietro al ribaltamento del campo, che per un’ora è in chiara pendenza a favore della Juve ma poi cambia asse e diventa in discesa per il Milan: gli inserimenti di Musah e Abraham compattano la squadra in un 4-4-2 che avanza furioso sul ripiegamento avversario. Viceversa la Juve e Vlahovic continuano nella loro soap opera amorosa «né con me né senza di me», nel senso che il serbo stenta a dialogare con i compagni e combina poco in fase di tiro, ma appena esce la squadra perde ogni dimensione offensiva e scivola nella catalessi che le costa la partita. Nelle occasioni che contano almeno Yildiz è una sveglia accesa — gran gol, bella interpretazione come del resto con l’Inter o nel debutto in Champions — e l’idea che inizialmente fosse in panchina un po’ spaventa.
La Juve aveva perso soltanto con lo Stoccarda in Champions, una serata fuori copione in cui era stata dominata. Stavolta invece il k.o. è venuto in una trama classica della sua stagione: partita sbloccata, ma che non riesce a mettere in sicurezza. Di solito il rinculo si ferma al pareggio, ma il Milan ha dentro qualcosa che in certe serate riesce ad andare oltre, vedi il derby e il Real quando giocò bene, vedi tante gare di Champions giocate male ma nelle quali in qualche modo è riuscito comunque a prevalere. Il passaggio da Fonseca a Conceicao non ha disperso questa qualità, che fa parte del kit di sopravvivenza nell’eliminazione diretta — dunque dna Milan — e il nuovo tecnico ha trovato qualche reazione individuale: Theo è partito male ma è arrivato bene, Tomori non ha fallito la chance di riscatto, Gabbia ha salvato il risultato all’ultimo secondo. Tessere di un puzzle tornate al loro posto, e il disegno complessivo ha fatto un passo verso la luce", si legge.
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