- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
ultimora
Il noto giornalista della Gazzetta dello Sport, Paolo Condò, prova ad analizzare il momento no in casa Inter:”Le inquietudini affiorate in queste ore all’Inter su un possibile disimpegno di Roberto Mancini a giugno per ora non toccano il tecnico. Nell’accordo stilato fra le parti lo scorso novembre, al momento di subentrare a Walter Mazzarri, il club aveva garantito al nuovo allenatore una prima tranche di innesti a gennaio e una seconda in estate; anche se i risultati sono stati disastrosi, Mancini non disconosce l’importanza del primo sforzo effettuato dall’Inter, e per questo è tranquillo sul fatto che anche la seconda parte verrà portata a termine, condizione necessaria per rimanere.
E’ molto meno tranquillo sulle sue responsabilità, perché ogni due concetti ripete «dobbiamo lavorare di più», il mantra dell’uomo che non si sente in pace con la propria coscienza. E del resto la classifica, la media-punti e le rovinose immagini della gara col Parma rimorderebbero anche la coscienza di un santo.
Non era la prima volta che Mancini subentrava in corsa: gli era successo sia al Galatasaray - esperienza breve e premiata dal posto Champions e dalla coppa nazionale - sia al Manchester City, l’esempio più calzante visto che lì Roberto cominciò subito col mercato di gennaio per poi scatenarsi in estate grazie al portafogli illimitato dello sceicco. All’Inter i limiti esistono, e sono pressanti; ma se c’è una cosa che Mancini ha capito in questi mesi di sofferenza, e di folle andatura un passo avanti e tre indietro, è che il capitale a sua disposizione - grande o piccolo, lo deciderà il mercato in uscita - andrà investito su giocatori dotati di personalità. Perché il male che divora questa squadra dall’interno non è tanto la mediocrità, che pure è notevole soprattutto in difesa, quanto l’assenza di anche un solo giocatore capace di rovesciare la negatività di una partita, di un periodo, di una stagione.
Un ottimo esempio in questo senso è Hernanes, centrocampista strapagato ma anche dotato: se in una squadra che funziona (come la sua prima Lazio) il brasiliano aggiunge la sua indubbia qualità, in una che non funziona come l’Inter - di Mazzarri o di Mancini non fa differenza - si perde per il campo senza la forza di proporsi come faro che illumina la strada. La paura che serpeggia nelle segrete stanze di Appiano è che pure Xherdan Shaqiri sia fatto della stessa pasta. Anche in questo caso, nessun dubbio che il giocatore di talento ci sia. Però una cosa è entrare dopo un’ora in un Bayern che sta già vincendo 3-0, e sull’onda dell’entusiasmo generale dilatare il punteggio a 5-0; un’altra, totalmente diversa, è trovare sullo 0-0 la chiave per far saltare un bunker difensivo.
Nell’Inter del triplete i giocatori in grado di rovesciare il tavolo di pura personalità si sprecavano, come si sprecano nella Juve di oggi, non a caso distante anni luce. Perché la qualità è fondamentale, ma non se per tirarla fuori hai bisogno che ci sia il sole, che il campo sia rasato all’altezza perfetta, che la mamma ti abbia rimboccato le coperte la sera prima e che l’olio con cui hai condito la pasta in bianco pre-partita sia di prima spremitura. Il nome di Yaya Touré, che è un po’ stanco del City (5 anni a Manchester sono molto lunghi) e probabilmente costerebbe più di ingaggio che di cartellino, non circola soltanto perché i suoi rapporti con Mancini sono buoni: circola perché l’Inter ha bisogno di un leader. Nel momento in cui il tecnico tira una croce sul deludentissimo Podolski e dà una chance al giovanissimo Puscas, è evidente che sta lavorando per il futuro. Lui lavorerà anche di più, come continua a ripetersi; ma con un leader lavorerebbe meglio. "
© RIPRODUZIONE RISERVATA