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Condò: “3 italiane KO in finale? Il sangue freddo non si compra. Tra Lautaro, Lukaku e Rodri…”

Matteo Pifferi Redattore 

"L’Inter ha dato molto filo da torcere al Manchester City, ma quando è giunto il suo momento l’ha lasciato sfilare", dice Condò

Intervenuto sulle colonne di Repubblica, Paolo Condò ha fatto il punto della situazione dopo le tre sconfitte delle italiane nelle tre finali delle Coppe europee:

"Il sangue freddo non si compra. Almeno in parte, però, si può allenare con l’esperienza. Per consolarci delle tre sconfitte subite dai club italiani nelle finali di coppa c’è poco altro da dire: Lautaro e Lukaku si sono aggiunti a Belotti e Mandragora nella Spoon River delle occasioni perdute, e anche l’Inter è tornata a casa con un baule di rimpianti. Come la Roma, che ha fatto match pari col Siviglia ma si è impappinata ai rigori; come la Fiorentina, che ha tentato di saldare il conto al West Ham prima dei supplementari perché giustamente si sentiva più forte, ma si è fatta pescare scoperta al 90’; perché lungi dall’essere dominata come un po’ tutti ci aspettavamo, l’Inter ha dato molto filo da torcere al Manchester City, ma quando è giunto il suo momento l’ha lasciato sfilare"

"Tre “ma” che pesano, ma — e quattro — è possibile che in futuro gli sconfitti di oggi non ripetano gli stessi errori. Ricordate la frase celebre di Michael Jordan? «Ho sbagliato 9000 tiri in carriera, ho perso 300 partite, per 26 volte ho mancato il tiro decisivo sulla sirena. Ho fallito, e fallito e ancora fallito. Ed è per questo che poi ho vinto così tanto». Ecco. C’è stato un tempo in cui gli specialisti dell’ultimo chilometro eravamo noi, quelli che piazzavano lo spunto decisivo, magari dopo essere andati a rimorchio nel resto di gara. I soliti italiani, dicevano. Gli anni difficili del confronto con leghe (tanto) più ricche della nostra non sono finiti, ma ormai la necessità ha aguzzato l’ingegno e siamo riusciti a tornare a galla in molte maniere, dal calcio generoso della Fiorentina al carisma messianico del Mourinho romanista, fino alla mutazione primaverile dell’Inter"

"Per lunghi tratti del match di Istanbul il pronostico è stato il classico “too close to call”, impossibile decidersi fra la palla in sostanziale possesso del City e il campo occupato con maggiore perizia dalle maglie nerazzurre: un equilibrio che aspettava l’errore, e il primo grave l’ha commesso il City con la svista di Akanji che ha spalancato l’area a Lautaro. È stato un lungo attimo nel quale Lautaro ha scelto male: non l’ha servita a Brozovic in arrivo sui sedici metri, né a Lukaku a centro-area, e non ha nemmeno provato a dribblare Ederson, facendogli rischiare il rigore. Gliel’ha calciata addosso nel tentativo irrealistico di scavalcarlo; irrealistico perché Ederson — un lampo — gli era arrivato ormai troppo vicino. L’angolo era chiuso. Si dice sempre che a questi livelli — i massimi, non dimentichiamolo — un errore non venga perdonato. Parzialmente vero. Lautaro ha perdonato Akanji. È stato poi Rodri a non perdonare Lautaro"


"Non è un caso che l’interista migliore sia stato Brozovic, che ha giocato una finale mondiale, non è un caso che la Roma sia stata sostenuta da un grande Matic, che ha ben 67 partite di coppa nel curriculum, non è un caso che nella Viola abbia brillato Amrabat, super protagonista al Mondiale. Chi ha già sperimentato il palcoscenico grande non ne ha paura, o ne ha di meno. Guardiamo i risolutori. Montiel segna per il Siviglia l’ultimo rigore dell’Europa League cinque mesi dopo l’analogo penalty che ha dato il Mondiale all’Argentina. La vittoria del West Ham viene firmata da Bowen, ma è il raffinato invito di Paquetá a meritare la copertina, e stiamo parlando di un titolare del Brasile. Rodri ci aveva fatto vedere contro il Bayern un gol anche più bello, ma quello di Istanbul certamente non gli è parso brutto. Nella scalata all’élite del calcio europeo quest’anno abbiamo risalito molti gradini, e il risultato che ci deve soddisfare è essenzialmente questo. Purtroppo l’ultimo vale tre di quegli altri, ma alla fine è sempre così. Troppi ma, lo sappiamo. Eppure sono il modo migliore di spiegare i perché".