L'ex centrocampista di Inter e Roma, Francesco Cordova, in un'intervista al Corriere dello Sportha ripercorso la sua avventura in nerazzurro nella stagione '65/'66:
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Cordova: “A Milano ero disperato per la nebbia. Herrera mi aveva preso per fare fuori Corso”
L'ex centrocampista rivela alcuni retroscena della sua sfortunata parentesi all'Inter
Chi è stato l’allenatore più importante della sua vita?
"Direi Liedholm. Ho avuto anche Herrera a Milano, all’Inter. Però lì ho fatto un po’ di macelli".
Che ha combinato a Milano?
"Consideri che io arrivo da Catania a Milano. Io a Catania ero, per induzione, considerato un dio perché mi aveva preso a ben volere Cinesinho. Lui mi ha adottato perché sembravo più un brasiliano che un italiano. Dormivo e mangiavo a casa sua. Lui veniva a casa mia a Napoli e quando arrivava c’era tutto il quartiere che voleva vederlo. Noi scendevamo in strada e giocavamo. Io abitavo con Cinesinho, avevamo una casa sul mare. C’erano i pescatori che ci tiravano il pesce nella terrazza. Quindi sole, mare, pesce, follia. Perché a Catania, in quegli anni, erano belli folli".
Poi, l’acquista l’Inter...
"Arrivo a Milano nel 1962, avevo diciotto anni. Consideri che in quel periodo loro non avevano ancora debellato la nebbia e alle due del pomeriggio non si vedeva nulla. A Milano la mia vita era solo allenamento e casa, perché non conoscevo nessuno. E poi ero abituato al sole di Catania, al mare caldo. Ero disperato. Piangevo, telefonavo a mio padre che mi diceva “lo sapevo, avevo ragione io: tu devi studiare. Torna a casa, che ti frega del pallone”. Era una famiglia “bene”, quindi avrei potuto farlo. Ma io, nella vita, volevo solo giocare a calcio e quindi piangevo disperato. Alle due non vedevo più niente e quindi andavo fortissimo perché, facendo solo allenamento e sonno, ero in una forma strepitosa. Herrera mi aveva preso a ben volere perché voleva fare fuori Corso".
E lei era perfetto per sostituirlo?
"Avevo le stesse caratteristiche. Andavo fortissimo a Milano. Ma all’improvviso incontro un amico di Napoli cresciuto nella mia stessa strada, lui stava a Milano per lavoro. Abitavamo a fianco. Lui era già inserito a Milano, nella vita notturna. Insomma, da quel momento, per tutta la mia permanenza all’Inter, io non ho mai più dormito".
Quindi ha perso una grande occasione…
"Lì sono stato molto stupido perché avevo l’ambiente favorevole, anche la famiglia Moratti mi voleva bene. Certo a centrocampo concorrevo con Suarez, Corso, Mazzola, Bedin, però io avevo l’appoggio di Herrera. In verità l’avevo all’inizio, poi alla fine no. Una volta c’era una partita di coppa De Martino a Reggio Emilia contro il Modena ed era importantissima per qualificarci. Io non ho giocato quel match perché mi hanno perso. Noi siamo andati in pullman, io, come le ho detto, non dormivo mai, e il tragitto non mi era bastato. Siamo arrivati, abbiamo mangiato alle undici, poi avevo un sonno terribile. Non so come fare, mi aggiro per l’albergo, una hall enorme, vedo una tenda, la apro, c’è una poltrona dietro, penso ”mi metto qua e dormo un’oretta”. Non mi hanno più trovato. Sono tornato a Milano in treno".
Picchi com’ era?
"Picchi era un comandante".
Era il capo vero?
"Sì. C’erano due capi perché dietro era lui, davanti era Suarez. Però di più Picchi, un livornese di quelli tosti. Era bravo, un leader. In campo e fuori".
Quindi poi con l’Inter finisce presto la storia. Lei gioca una sola partita, vero?
"Sì. Stavo in panchina. Anche in Coppa dei Campioni stavo in panchina. Ho giocato una partita da titolare proprio a Napoli, l’ultima partita. Quindi ho vinto il campionato anche io. Ma per la situazione intricata che si era determinata a Milano mi hanno mandato a Brescia. Lì ho fatto un grande campionato".
(Fonte: Walter Veltroni, Corriere dello Sport 14/4/18)
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