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Coronavirus, l’infettivologo Le Foche: “Casi in Serie A? C’è un grosso errore da evitare”

Daniele Vitiello

L'intervista concessa ai microfoni del Corriere dello Sport

Francesco Le Foche, immuno-infettivologo che da mesi osserva e studia l’andamento della SARS-COV2, a partire dalla bomba epidemiologica di Atalanta-Valencia, ha concesso una lunga ed interessante intervista ai microfoni del Corriere dello Sport a proposito del nuovo aumento dei contagi che riguarda anche il mondo del calcio. 

Replica dell’incubo. Calcio nuovamente a rischio?  

«L’isolamento di due settimane è un protocollo scientifico non modificabile. Non credo a una moltiplicazione allarmante dei casi di contagio, peraltro ampiamente prevedibili. Credo invece fermamente che occorra imparare a convivere con questo virus».

Che nel caso del calcio significa? 

«Due o tre casi per squadra di contagio asintomatico non devono indurre a paralizzare il sistema una seconda volta. Sarebbe un errore macroscopico. Vale per la vita ma vale a maggior ragione per il mondo del pallone che ha dimostrato senso di responsabilità, maturità e organizzazione. Vale per i calciatori, i dirigenti, ma anche per tutto l’indotto dei tifosi e dei media». 

I diffusori di panico non la pensano così. Allarme rosso per loro. 

«Fortunatamente i numeri dimostrano che questo virus ha un alto tasso di contagio che tende a non diventare malattia. Questo è il dato significativo di cui tener conto. A fronte di tanti contagi, la malattia non viene espressa». 

Diceva casi di contagio “prevedibili”.  

«In realtà, mi sarei aspettato molti più casi viste le premesse».

Non c’è stato peccato di leggerezza da parte di questi calciatori nell’imminenza della ripresa?  

«Non lo chiamerei peccato di leggerezza, né punterei l’indice contro. Sono calciatori, ma sono soprattutto ragazzi. Reduci da una pressione ambientale e psicologica micidiale concentrata in pochi mesi, si sono rilassati in vacanza. Una umanissima riduzione di attenzione». 

A partire dalle premesse… 

«Chiuderle ora, meglio tardi che mai. Ma le discoteche non andavano riaperte. È stato un errore. Sono luoghi osmotici per definizione. Ideali per la propagazione del virus, a cominciare dagli scambi interpersonali».

«Mi dispiace per lui. Ho conosciuto Sinisa nel 2002 quando abbiamo ricevuto il Premio Campidoglio. Non ho dubbi sulla sua reazione. Ha la forza di un leone. Non conosco bene lo stato del suo sistema immunitario ma è probabile che, a seguito del trapianto potrebbe aver rinforzato il suo sistema immunitario rispetto al virus». 

Tifoso milanista, non la preoccupa il caloroso abbraccio “smascherato” tra Sinisa e Ibra a Porto Cervo? 

«Ibra con Pioli è stato alla base del rinascimento milanista. Un abbraccio per quanto caloroso non può determinare un contagio».

E poi Ibra è una specie di conclamato supereroe. 

«Mi occupo di scienza non posso credere ai supereroi. Posso dire però che, da eventuale supereroe, ci aspettiamo da lui che sia un esempio non solo in un campo di calcio ma anche fuori. Se ci si deve abbracciare al chiuso fondamentale la mascherina, ancor meglio la giusta distanza».

A quando riammettere il pubblico negli stadi? 

«Qualunque errore in questo senso potrebbe rispedirci nel passato con le conseguenze immaginabili. Va programmato seriamente, ma non vedo tempi molto lunghi per la riapertura graduale ai tifosi. Tre o quattro mesi, direi. Considero fondamentale l’impatto emotivo e psicologico in una società familistica come la nostra della riapertura delle scuole». 

Si è occupato dal suo primo manifestarsi di questa pandemia. 

«Al primo impatto, come tanti di noi, mi sembrava tutto inverosimile per le modalità con cui si manifestava. Un plot di fantascienza. Dopo di che devo dire che mi sono immerso con fanciullesca passione, a partire dall’osservazione empirica dei fatti». Che sarà di noi? Che sarà del virus? Vaccino e terapie, il punto.  

«C’è questa terapia estremamente innovativa e molto promettente basata sugli anticorpi monoclonali. Funziona, è assolutamente innocua e non dà tossicità. Si applica nella fase acuta della malattia e uccide il virus nel giro di poche ore. Speriamo ragionevolmente di averla pronta per fine anno».Una terapia che si comporta come un vaccino? 

«Esattamente. La differenza è che, per quanto sia stata enormemente accelerata la ricerca, il vaccino sarà pronto a fine anno ma disponibile non prima dell’estate prossima. Stiamo parlando di un virus dalle origini oscure e dalle dinamiche complesse, ancora tutte da indagare».