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CorSera – All’ultimo Stadio, le leggi non arrivano, impianti italiani peggiori d’Europa…

Francesco Parrone

«Gli stadi sono quasi tutti di decenni fa, sono dentro il cuore delle città, portano intasamento e smog. Dobbiamo fare dei cambiamenti, pensando di poter far lavorare tanta gente intorno a questi investimenti, liberando i centri...

«Gli stadi sono quasi tutti di decenni fa, sono dentro il cuore delle città, portano intasamento e smog. Dobbiamo faredei cambiamenti, pensando di poter far lavorare tanta gente intorno a questi investimenti, liberando i centri storici. Non si può rimanere sempre fermi per paura delle conseguenze. O ci rendiamo conto che attorno a questi temi serve fare qualcosa oppure continuiamo a rimanere immobili».

Lo ha detto ieri al Senato il presidente del Consiglio, Enrico Letta ed è la fotografia del calcio italiano. Di una legge per la costruzione degli stadi si parla dal 2007, dopo la morte di Raciti a Catania, quando sembrava che a organizzare Euro 2012 sarebbe stata l’Italia (l’Uefa poi aveva scelto Polonia Ucraina). Il 6 aprile 2009, l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega allo sport, Rocco Crimi, aveva assicurato un’accelerazione nell’approvazione della legge sugli stadi: «Conto che venga licenziata al Senato entro fine estate per poi passare alla Camera».

Il via libera del Senato è arrivato nell’ottobre 2009, ma tutto si è fermato alla Camera per le decine di emendamenti presentati.La legge (che non prevede spese pubbliche) imporrebbe ai Comuni di dare il proprio parere sui progetti di costruzione degli impianti. Questo significa che diventerebbe possibile costruire, insieme allo stadio, anche l’area di competenza, per rendere compatibile l’investimento (centri commerciali, abitazioni, musei), perché si considera la costruzione del solo stadio troppo onerosa per chiunque. Ma è stato proprio questo aspetto a frenare l’iter legislativo, in un dibattito sempre più acceso sulla questione dei vincoli ambientali.

La legge si è arenata; 4 anni buttati via. Al momento in serie A e B, c’è un solo stadio di proprietà: è quello che la Juve ha inaugurato nel settembre 2011, con risultati straordinari in tutti i sensi. La Premier League ha investito negli stadi quattro miliardi di euro; la Germania nel 2006 due miliardi, approfittando dell’organizzazione del Mondiale. L’età media degli impianti italiani è di 63 anni (54 per quelli di B). A parte lo Juventus Stadium, soltanto due impianti sono considerati di alto livello dall’Uefa: San Siro a Milano e l’Olimpico di Roma, che hanno ospitato anche la finale di Champions League (2001 e 2009).

Uno degli stadi usati per Italia 90, il Sant’Elia di Cagliari, è chiuso e in stato di abbandono. Proprio quello del Cagliari resta unesempio incredibile: a inizio stagione, aveva annunciato in Lega che avrebbe giocato a Trieste; invece, attraverso deroghecontinue, fra porte spalancate, semichiuse (abbonati) e chiuse, ha usato l’impianto di Is Arenas, finché, fra un ricorso e l’altro, ha deciso di lasciare e di tornare a Trieste.

Ieri il presidente della Figc, Abete, ha annunciato: «L’iscrizione sarà possibile se sarà definito e chiaro lo stadio di ciascuna società, evitando le situazioni complesse che ci hanno accompagnato quest’anno». Gli stadi italiani sono i peggiori d’Europae non è necessario frequentare quelli di Champions per capirlo. Risultano scomodissimi, obsoleti, anacronistici, troppo grandi in rapporto alla realtà televisiva che ha riempito i salotti. Il digitale terrestre (gennaio 2005) ha completato l’allontanamento della gente dal calcio visto dal vivo.

La conseguenza è che gli introiti da stadio rappresentino soltanto il 13% dei ricavi; nel 2011-2012 si è toccata quota 186 milioni di euro (-10,5% rispetto all’anno precedente). Cifra modesta se paragonata con i 428 milioni della Liga spagnola, i 411 dellaBundesliga, dove gli stadi sono quasi sempre pieni. Ha detto il presidente del Coni, Malagò: «Abbiamo bisogno assolutodi questa legge». Ma se tutti la vogliono, perché non si riesce a farla?