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In attesa dello sbarco sul pianeta nerazzurro del presidente della Federbasket indonesiana e del Sud-Est asiatico, che poi sarebbe Erick Thohir (la firma degli accordi è questione di ore), l’Inter ha fatto tredici. Tredici punti nelle primecinque partite, come non succedeva dalla prima stagione di Mourinho, sono un ritmo da grande squadra, anche se resta da capire come risponderà l’Inter alla terza partita in otto giorni (domani il Cagliari alle 15), la seconda in meno di 72 ore. A fare la differenza ci sono la qualità del lavoro e la dedizione alla causa di Walter Mazzarri, che, precettato da Moratti a metà maggio, anche in questa avventura milanese ha tenuto fede al suo curriculum (dieci stagioni fra A e B ad alto livello) e soprattutto al suo ruolo. Siccome è un allenatore, ha dimostrato che cosa significa allenare i giocatori, aiutato da un grande staff.
Sono stati la preparazione atletica e il lavoro tattico a trasformare Moreira Cicero Jonathan in un giocatore vero, dopoché per due anni si era assai dubitato di lui, in uno stadio che riusciva soltanto a fischiarlo. Arrivato all’Inter nel 2011, si era fermato a quattro apparizioni, prima di andare al Parma a gennaio 2012; richiamato in nerazzurro per raccogliere l’eredità di Maicon, era stato a lungo destinato all’Europa League, e alla fine aveva chiuso la stagione con appena otto presenze. Jonathan appare finalmente asciutto nel fisico, con la gamba lucida e la capacità di spingere, che dovrebbe essere una sua caratteristica. E il gol alla Fiorentina è stato per lui una liberazione.
Mazzarri ha dato una grande occasione anche a Ricky Alvarez, il trequartista argentino voluto da Moratti in persona due anni fa, e non soltanto perché mancino. Nelle prime due stagioni, sembrava un giocatore con numeri da campione, senza esserlo. A Udine (25 aprile 2012, 3-1), si era notato un talento, che ancora non riusciva ad esplodere. Nella seconda parte dell’ultima annata, aveva trovato spazio, ma alla fine l’Inter era arrivata nona (23 presenze, 5 gol). Mazzarri gli ha offerto l’opportunità di restare, l’ha promosso titolare a sorpresa e gli ha trovato il ruolo di seconda punta anomala. Giovedì, il tecnico ha spiegato: «Scelgo i giocatori che mi sembrano più adatti alla situazione, poi tocca a loro difendere il posto dalla concorrenza, che deve essere massima». Per ora Alvarez è stato il valore aggiunto di una squadra che fin qui ha avuto soprattutto bisogno di equilibrio e, nel futuro, c’è la possibilità di spostarlo a centrocampo, se dovessero entrare Milito o Icardi.
La cura Mazzarri ha rigenerato Esteban Cambiasso: a 33 anni, sembrava in fase calante, spremuto da stagioni durissime, lui che aveva sopportato il peso del centrocampo, diventando più indispensabile che utile. Il tecnico ha deciso di puntare su di lui, sistemandolo davanti alla difesa: il gol alla Fiorentina è un indizio in più che sta tornando il vero Cambiasso, liberato dal peso delle coppe, da quello di una squadra poco organizzata e dalle tensioni interne tipiche dei tempi in cui non si vince più.
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