ultimora

CorSera – Benitez ritrova l’Inter, Mazzarri il Napoli. Un duello che vale il terzo posto…

Chissà se a Walter Mazzarri capiterà quello che era successo a Trapattoni il 26 ottobre 1986, prima volta da interista contro la Juve a Torino, dopo dieci anni bianconeri. Distratto da Platini e Cabrini, che «facevano un po’ i furbi con me»,...

Francesco Parrone

Chissà se a Walter Mazzarri capiterà quello che era successo a Trapattoni il 26 ottobre 1986, prima volta da interista contro la Juve a Torino, dopo dieci anni bianconeri. Distratto da Platini e Cabrini, che «facevano un po’ i furbi con me», al rientro dopo l’intervallo, il Trap stava andando verso la sua vecchia panchina, prima di essere richiamato all’ordine da Camillo Cedrati, allora dirigente accompagnatore nerazzurro. Difficile immaginare che Mazzarri sbagli panchina, troppo teso, troppo concentrato; difficile che, dopo la separazione non consensuale (il tecnico cercava un’altra centrifuga), il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ripeta quello che aveva detto Boniperti: «Per noi Trapattoni è una mezza istituzione».

Anche se una sfida calcistica vive soprattutto sulle promesse di gol (Higuain contro Palacio), anche se la classifica pesa (il Napoli parte avanti di 4 punti), poche altre volte una partita di calcio ha incrociato in maniera totale il destino dei due tecnici, che hanno vissuto una storia opposta nei vecchi club. Le qualità di Rafa Benitez, 53 anni, sono fuori discussione, come dimostrano il suo curriculum professionale, le sue vittorie (2 campionati e una Coppa Uefa con il Valencia; Champions League, Supercoppa europea, Coppa d’ Inghilterra e Community Shield con il Liverpool; Europa League con il Chelsea), la considerazione di cui gode ovunque. Con l’Inter ha vinto una Supercoppa italiana e un Mondiale per club, ha qualificato la squadra agli ottavi di Champions, ha accumulato un distacco di 10 punti dal Milan in 15 partite. 

Ma non è mai scattata la passione. Non dev’essere stata un’idea geniale quella di voler azzerare l’eredità di Mourinho, insistere con il ritornello della «squadra spremuta» come un limone, ripetere in pubblico e in privato che chi aveva conquistato il triplete avrebbe dovuto cominciare a giocare a pallone, accorgersi che la squadra non lo seguiva più, fra infortuni veri e verosimili, e andare avanti, senza le necessarie correzioni. È quel che si dice una questione di feeling. Sarebbe bastato allenare l’Inter e non allenare «contro» Mourinho per restare a lungo in nerazzurro. Tante volte si eralamentato per i mancati acquisti di Mascherano e Kuyt, ma la rosa di allora (da Milito a Eto’o, da Julio Cesar a Samuel, prima dell’infortunio, da Maicon a Sneijder, da Zanetti a Cambiasso, da Thiago Motta a Pandev) era meglio di quella a disposizione di Mazzarri.

Forse se Moratti avesse deciso di cambiare Benitez dopo la sconfitta in Supercoppa europea (28 agosto 2010), ingaggiando Leonardo, l’Inter avrebbe rivinto lo scudetto, vista la scintilla che si era subito accesa fra presidente, allenatore e squadra. Resta il fatto che Benitez avrebbe potuto chiedere la rescissione del contratto due giorni e non un’ora dopo aver vinto il Mondiale per club (18 dicembre 2010, 3-0 al Mazembe). Appena tre anni fa. Può darsi che stasera Mazzarri si prenderà una bella fischiata al San Paolo, perché nel calcio non c’è riconoscenza; resta però l’uomo che, insieme con De Laurentiis (che l’aveva voluto, dopo l’esonero di Donadoni, 4 ottobre 2009), ha riportato in alto il Napoli

È arrivato sesto, terzo (posto in Champions), quinto e secondo (prima di lasciare); ha vinto un trofeo (Coppa Italia, 20 maggio 2012), dopo un’attesa che durava dal 1990 (Supercoppa italiana). Ha cambiato la vita (in meglio) a tanti giocatori, da Lavezzi a Cavani, da Zuniga a Cannavaro; ha dato a squadra e società un metodo di lavoro. Ha scelto di lasciare il Napoli, dopo la tentazione del 2011 («Mazzarri resta con noi», cantavano i tifosi i l 15 maggio, nella notte dell’1-1 con l’Inter che valeva il posto in Champions), per cercare una sfida più difficile. Il cambio di proprietà in nerazzurro l’ha trasformata in un sesto grado superiore. Né Benitez Mazzarri sono stati trattati benissimo da Mourinho (venerdì l’ultima frecciata allo spagnolo: «Ho trovato il Chelsea spremuto», numero uno per distacco) e questo forse è l’unico punto in comune fra due allenatori diversi in tutto. A partire dal modello calcistico: più armonioso quello dello spagnolo, con difesa a 4 e quattro giocatori d’attacco; più da battaglia (e da Inter) quello di Mazzarri, con difesa a 3, centrocampo a 4 o a 5 e due punte (se ci sono), grande pressing per riconquistare in fretta il pallone. Benitez era arrivato a Milano, quando gli interisti guardavano tutti dall’alto; Mazzarri adesso ha scoperto che tutti hanno fretta di tornare a vincere tutto. Come? Ancora non si sa.