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Alla fine è sempre Eto’o a fare la differenza. Il suo ritorno in nerazzurro consentirebbe all’Inter, oltre che di aggiustare l’attacco, anche di raggiungere la Fiorentina in cima alla torre di Babele. Scatta domani il campionato più multietnicodel mondo, la serie A. Alla faccia dei buuh, che nonostante il pugno di ferro partiranno puntuali già dal fischio d’inizio (mai che gli imbecilli siano almeno un po’ originali), i club italiani reclutano senza confini né preconcetti: quello che conta è il rapporto qualità/ prezzo, il passaporto è solo una curiosità. La Fiorentina al momento tiene il primato, con una mappa geografica che comprende diciassette nazioni (c’è quasi tutto il Sudamerica, tracce d’Africa e un po’ d’Europa) rappresentate da 25 stranieri a disorientare i 5 isolati italiani Aquilani, Ambrosini, Rossi, Pasqual e Lupatelli,oltre al tecnico Montella.
L’Inter segue a una lunghezza: sono 16 i Paesi a cui Mazzarri dovrà rivolgersi ecumenicamente, Asia compresa grazie al giapponese Nagatomo. Del resto la storia ultracentenaria dell’Internazionale (nel nome filosofia e destino) è stata sempre attraversata da questo afflato cosmopolita che culminò, era il novembre 2005, con la gara di Champions contro gli slovacchi dell’Artmedia: Mancini schierò una formazione di soli stranieri, almeno per un’ora, quando in campo fu mandato Zanetti, quello italiano.
All’epoca Facchetti rispose alle critiche: «Non ci sono italiani o stranieri, ma solo giocatori dell’Inter», richiamando lo slogan originale che ancora oggi campeggia sulla home page del sito ufficiale: «Si chiamerà Internazionale perchénoi siamo fratelli del mondo». Lo stesso Boniperti si era ribellato al limite dei due extracomunitari quando nel 1987, dapresidente della Juve (che aveva Platini e Laudrup), dichiarò: «Se ci fossero undici stranieri all’altezza li vorrei tutti in bianconero».
Oggi alla corte di Moratti ci sono 10 argentini (il record però resta del Catania con 13), ma anche 3brasiliani, 1 colombiano, 1 uruguaiano. Si parla pure europeo: sloveno, serbo-croato, belga, romeno, portoghese, danese mentre l’Africa è presente con 2 algerini, un nigeriano e un keniano, in attesa del bomber camerunense che garantirebbe l’aggancio alla legione straniera dei viola, per la disperazione di chi da sempre chiede una maggiore protezione del made in Italy, Arrigo Sacchi su tutti. «Questo non è un campionato italiano. A uscire sconfitto è il calcio italiano», aveva severamente ammonito l’ex c.t. della nazionale e oggi responsabile delle giovanili azzurre.
Con l’eco di Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalciatori («Abbiamo poca pazienza, i giovani non trovano spazionelle serie maggiori, più comodo andare a pescare all’estero») e del presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete: «È il caso che i club di serie A facciano una riflessione e tornino a valorizzare i vivai». All’estero ci sono già arrivati: basta pensare al Barcellona, che ha solo 8 stranieri provenienti da 5 Paesi, il resto sono spagnoli, quasi tutti figli della cantera. Da sei stati diversi arrivano le rose del Real Madrid e del Paris Saint Germain, proprio come il Livorno che è il clubmeno «poliglotta» della nostra serie A, dietro ad Atalanta e Sassuolo, che però vanta l’unico rappresentante del continente oceanico della serie A, il centrocampista e nazionale australiano Carl Valeri.
Inversione di tendenza sulle panchine, solo 3 allenatori su 20 sono stranieri: Rudi Garcia alla Roma, primo tecnico francese in serie A, lo spagnolo Rafa Benitez al Napoli e il bosniaco Petkovic alla Lazio, che come l’Inter ha 16 nazionalità diverse. Meno pesante la presenza straniera nella Juventus: 9 bandiere a colorare il bianconero, Cile, Uruguay, Brasile, Argentina, Ghana, Montenegro, Francia, Spagna e Svizzera. Solo 8 per il Milan: Francia, Olanda, Colombia, Brasile, Argentina, Ghana, Mali, Guinea. Più gli italiani, per ora.
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