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CorSera – È la notte di Zanetti. Nel segno del 4 lo stadio si commuove, Mazzarri…

Francesco Parrone

Quattro. Il numero che c’era, che c’è, sulle maglie di tutti i tifosi, su quelle da riscaldamento degli undici titolari scelti da Mazzarri, su quella, enorme, che copre il cerchio del centrocampo, con un «grazie» stampato sotto, questo...

Quattro. Il numero che c’era, che c’è, sulle maglie di tutti i tifosi, su quelle da riscaldamento degli undici titolari scelti da Mazzarri, su quella, enorme, che copre il cerchio del centrocampo, con un «grazie» stampato sotto, questo quattro che è ovunque, soprattutto nelle sensazioni, non ci sarà più. Si ritirerà con Javier Aldemar Zanetti, 41 anni il 10 agosto. Il capitano dell’Inter, el Tractor smette di correre, palla al piede, come fa da 19 anni per l’Inter. Tutto nel calcio, e non solo, ritrova la via dell’origine. La prima squadretta di Javier si chiamava Disneyland e questa è la fine di una favola, una di quelle rare, al giorno d’oggi. Perché, disperso il velo di malinconia, tutti vivranno felici e contenti. Maglie, striscioni, poesie, foto, sciarpe, perfino una specie di top lanciatogli da una tifosa bollente. Javier Zanetti entra in campo qualche istante dopo i titolari. E accende il pubblico. Lo schermo gigante trasmette il trailer del film «Dock Sud Story», la storia di un ragazzo di Buenos Aires che è diventato un simbolo all’altro capo del mondo. Ma i tifosi vogliono tutto il film. Così, quando lo speaker pronuncia «Walter», aspettandosi che lo stadio risponda «Mazzarri», arriva una scarica di fischi. I tifosi scrivono sui social che «per le pippe in campo poteva giocare dall’inizio». Con un cinguettio si fa vivo anche Balotelli. «Un esempio di umanità e professionismo. Grande Pupi». A seguirlo, però. Passato e presente. Icardi corre da lui dopo il gol: Javier, dalla panchina, è il primo a scattare. Un abbraccio e una benedizione.

L’eterno ragazzo ha seri problemi con giacca e cravatta. Come farà, con l’investitura di Massimo Moratti? «Il calcio è soprattutto questo, è sentimento. Zanetti può seguire le orme di Giacinto Facchetti. Ha le qualità per farlo bene». Da «c’è solo un capitano» a «c’è solo un presidente»? Le emozioni si sprecano, ma nessuna è banale. Javier: «Difficile trattenerle tutte. Un momento così non si prepara». A 39’48” del primo tempo Zanetti si mette la pettorina verde e va a prepararsi. Lo stadio è un unico cuore che batte e urla. Sul braccio ha la fascia con i nomi di tutti i compagni che ha avuto accanto nell’Inter, da Adani a Zè Maria. «Avrei voluto mettere tutti i nomi dei veri protagonisti della mia avventura, i tifosi». Basta il pensiero. Finalmente al 6’45” del secondo è il momento di Zanetti-857. Samuel butta la fascia. A essere fiscali, il «cambio di capitano» non è previsto dal regolamento, ma chi vuole essere fiscale? Javier regala un paio di discese sulla fascia palla al piede. Un tifoso invade il campo per inginocchiarsi davanti a lui. Il capitano intercede con gli steward. È finita. Ricompare la grande maglia, viene steso un tappeto azzurro. A formare un corridoio di affetti sul blue carpet, dirigenti e dipendenti dell’Inter, la famiglia Moratti, Thohir, i giocatori, i tecnici. Tutti. Zanetti lo percorre con moglie e figli. E con le lacrime. Ringrazia tutti, estrae dal gruppo per un applauso speciale quelli della vecchia guardia, al passo d’addio, Samuel, Milito, Cambiasso, Castellazzi. «Ho imparato insieme a voi ad amare questa maglia e l’amerò per sempre.

Finisce il calciatore, va avanti l’uomo. Ora mi tocca fare altro, ma difenderò l’Inter come ho fatto in campo». Ha ragione Moratti, in momenti come questi il calcio è una faccenda di sentimenti. È una festa sobria, Javier fa il giro di San Siro con la sua grande famiglia che porta a spasso la grande maglia. «Volevo chiudere a posto fisicamente e ci sono riuscito». Fuori dallo stadio, davanti al baretto della Nord, lo aspettano gli ultrà per l’ultimo atto dell’addio. Luci a San Siro, in campo, per Pupi non si accenderanno più.