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CorSera – I conti dei club italiani. La prima sfida da vincere: aumentare i ricavi…

Racconta spesso Erick Thohir che nel suo Paese, l’Indonesia, negli anni Ottanta, esisteva solo la serie A: i ragazzi conoscevano le formazioni delle nostre squadre a memoria e, se compravano una maglietta, era di Juve, Inter e Milan. Ora la...

Francesco Parrone

Racconta spesso Erick Thohir che nel suo Paese, l’Indonesia, negli anni Ottanta, esisteva solo la serie A: i ragazzi conoscevano le formazioni delle nostre squadre a memoria e, se compravano una maglietta, era di Juve, Inter e Milan. Ora la serie A è sparita, sorpassata dalla presenza e dal radicamento (in Asia ma non solo) di club spagnoli, inglesi e tedeschi. Nessuna sorpresa. Banalizzando: anche dal numero di magliette vendute si giudica lo stato di salute di un club. Perché va benissimo la spending review, ma la vera partita, per tutte le società, è come fare ad aumentare i ricavi. Intanto si può vedere come ci sono riusciti gli altri. Lo studio Deloitte (Thohir lo stima preciso all’80%) descrive la classifica dei ricavi. Il Real Madrid è da nove anni al primo posto, con 518,9 milioni, seguito da Barcellona (482,6) e Bayern Monaco (431,2).

Le prime italiane sono Juve, al nono posto (272,4), Milan al decimo (263,5) e Inter al quindicesimo (168,8). I bianconeri beneficiano di circa 15 milioni in più dalle tv per il numero di tifosi. Le fonti di ricavi sono sostanzialmente tre: 1) i diritti tv, e qui c’è margine di miglioramento solo per l’estero (esempio: la Premier League vale 850 milioni, contro i 117 della serie A), perché per il mercato nazionale difficile ottenere di più rispetto all’ultima asta Mediaset-Sky; 2) lo stadio: la Juventus, che è l’unico club italiano ad averlo di proprietà, ricava circa 40 milioni contro i 26-27 del Milan e circa i 20 dell’Inter. Non a caso, il Milan ha pronto un progetto per realizzare un proprio impianto, l’Inter vuole rivedere San Siro; 3) i ricavi commerciali, che derivano più o meno per l’80% dagli sponsor e per il 20% dal merchandising. In questo settore, i margini di crescita sono enormi se si confrontano i risultati delle altre big d’Europa

A patto di capire che l’orizzonte dev’essere il mondo: in Italia dal merchandising nessuno realizza più di 3-4 milioni. Aumentare la penetrazione nei nuovi mercati è, infatti, il mantra di tutti i dirigenti. Anche sul fronte sponsor, come si evince dall’ultimo accordo record dell’Adidas con il Manchester United (100 milioni all’anno, la Juve ne prende circa un terzo), si può ottenere di più, a patto di offrire un prodotto di qualità. Oggi solo il 30% degli sponsor sono aziende multinazionali. Chi negli ultimi anni ha fatto meglio di tutti, nel settore commerciale, è il Milan: secondo Deloitte, il 37% dei ricavi rossoneri viene da qui (contro il 25% della Juve, stessa percentuale del Barcellona, mentre il Real è al 41% e il Bayern al 55%). Barbara Berlusconi ha lanciato Casa Milan (progetto che si vuole replicare nel mondo), una sede aperta ai tifosi che possono visitare museo, ristorante e negozio: in meno di due mesi è stata visitata da 30 mila persone (7 mila nei quattro giorni con gli eventi per gli sponsor) per un ricavo globale di 500 mila euro. 

Ma il senso dell’operazione non è tanto fare cassa, quanto aumentare il valore del brand (secondo «Brand finance»il Milan è al 14° posto, dietro la Juve, primo è il Bayern con un valore di brand stimato in 181 milioni). Certo, se la serie A decidesse (seguendo le orme dell’Nba ma anche della Premier) di dare l’assalto ai mercati come Lega (per dire, aprendo negozi serie A), forse tutti potrebbero beneficiarne: non è ancora il tempo, ma un giorno potrebbe arrivare.