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Questione di feeling. Sono passati un anno e due giorni dal momento in cui Massimo Moratti aveva fatto la sua scelta: avanti con Andrea Stramaccioni per una stagione intera. Era successo dopo il 3-1 in rimonta all’Udinese (25 aprile 2012), prima il gol di Danilo, poi la doppietta di Sneijder e la rete di Alvarez. Quel giorno il presidente ha visto nell’allenatore promosso dalla «Primavera» il 26 marzo un talento, destinato a fare strada.
La risposta di Stramaccioni era stata la vittoria nel derby del 6 maggio (4-2), anche se all’ultimo atto era scivolato con la Lazio e alla fine era arrivata l’Europa League con doppio preliminare. Dodici mesi e due giorni dopo Udine, Moratti non ha cambiatoidea su Stramaccioni e non soltanto perché è giovane (di anagrafe). Continua a pensare che sia un tecnico di talento e ha tutte le intenzioni di riconfermarlo per un’altra stagione, quella che dovrà rappresentare la svolta nella storia nerazzurra, dopo la chiusura di un ciclo (2011-2012) e un anno di tormenti, che non è ancora finito.
Salvo rovesci finali clamorosi, il presidente è deciso ad insistere con Stramaccioni per lo stesso motivo per il quale nel 2004 aveva scelto di sostituire Zaccheroni (nonostante la conquista di un posto in Champions) con Mancini e nel 2008 Mancini (sei trofei e un salto in alto impressionante) con Mourinho. Era stata la storia del sasso nello stagno ad aver spinto Moratti in passato a cambiare, non per mancanza di considerazione nei confronti dei tecnici sostituiti,ma per muovere le acque, per dare una sveglia all’ambiente, per consegnare nuove motivazioni al gruppo, per alzare l’asticella.
In questo momento, sostituire Stramaccioni sarebbe la scelta più facile, più scontata, più attesa. Un’ovvietà. Insistere con lui significa valutare (o avere già valutato) in profondità gli eventi di questa stagione, scindere le responsabilità del tecnico da quello di chi ha lavorato con lui (o contro di lui, magari inconsapevolmente) e dei giocatori, non tutti professionisti di specchiata virtù.
Di errori (di giovanilismo), il tecnico ne ha commesso più di uno, confidando troppo in se stesso, ma tante volte si è ritrovato solo e si è sempre preso tutte le responsabilità del caso. Quando ha avuto la squadra al completo, ha fatto vedere idee coraggiose e vincenti (il tridente in casa della Juve); quando ha perso gli uomini, prima delle partite ha smarrito il coraggio e la leggerezza, che sono le sue caratteristiche migliori.
C’è un esempio al quale forse Moratti ha fatto riferimento: Jurgen Klopp al Borussia. È arrivato a Dortmund il 1˚ luglio 2008 e non ha vinto subito: sesto posto al primo anno; quinto al secondo; titolo nel 2011 (dopo un’attesa durata nove anni) e nel 2012 (dopo un pessimo inizio); secondo posto e forse finale di Champions League in questa stagione. Più che cambiare Stramaccioni, all’Inter serve un profondo rinnovamento nei giocatori, peraltro già avviato con tempestività con cinque acquisti già conclusi (Icardi, Campagnaro, Laxalt, Andreolli e Botta) e c’è da immaginare che due grandi campioni arriveranno; serve un maggiore impegno da parte di tutti e il coraggio di fare un passo indietro da parte di chi ha sbagliato.
Serve comunque un’Inter che vada in Europa, anche se non è la Champions League. Non è vero che restare fuori dalle coppe sia un vantaggio, anche se ieri l’Uefa ha condannato il club a pagare 45.000 euro di multa per i cori razzisti contro Adebayor nel ritorno degli ottavi contro il Tottenham (14 marzo).
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