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Corso: “L’Inter non è un contratto, è un amore. Scopro talenti, volete sapere chi visionerò?”

Eva A. Provenzano

Settant’anni domani, Mario Corso, “di cui cinquantatre di Inter”, sottolinea subito il Sinistro di Dio. “Parliamo dei cinquantatre – ripete e sorride -, è meglio, no? È un numero più leggero…”. Va bene,...

Settant'anni domani, Mario Corso, "di cui cinquantatre di Inter", sottolinea subito il Sinistro di Dio. "Parliamo dei cinquantatre - ripete e sorride -, è meglio, no? È un numero più leggero...". Va bene, ma perché cinquantatre? I conti non tornano. "Perché quando entri all'Inter, e io l'ho fatto che stavo per compiere diciassette anni, ti resta dentro per sempre, anche se di quei cinquantatre anni sono in realtà stati diversi quelli trascorsi senza che io lavorassi per la società nerazzurra. Ma amore e passione vanno al di là dei contratti. Per me l'Inter è stata sempre ed è tuttora una famiglia".

Una famiglia dove il padre per Mariolino è stato Angelo Moratti. Massimo Moratti, invece, il fratello. "Moratti senior mi aveva praticamente adottato, avevo sedici anni e mezzo quando sono arrivato, io, un ragazzotto di paese: lui mi curava, era pieno di attenzioni, ma mi sapeva anche mettere sull'attenti, perché quando c'era da metterti in riga mica si tirava indietro. Proprio come un padre. Così come Massimo è stato ed è un fratello per me: il rapporto è sempre stato fortissimo, stupendo. Abbiamo trascorso momenti bellissimi insieme. In trasferta, soprattutto in Europa, ci seguiva quasi sempre. E poi non abbiamo mai smesso di frequentarci e pure di giocare a calcio insieme, a Imbersago. Perché Massimo giocava bene, uno tecnicamente davvero bravo, un'ala sinistra niente male. Però gli mancava un po' di corsa. Io correvo poco, è vero, lo so, lo sanno tutti, ma lui ancora meno!", racconta con fare per l'appunto fraterno Corso, che proprio con il ritorno della famiglia Moratti all'Inter, nel '95, è tornato a essere parte della società a tutti gli effetti.

"Per tre anni, dal '95 al '98, ho fatto il responsabile del settore giovanile, poi l'osservatore". Ruolo che riveste tuttora: "È un onore per me fare questo tipo di lavoro per l'Inter, per far sì che la squadra sia sempre all'altezza. Un lavoro che faccio con grande entusiasmo. Ma ancora maggiore è l'entusiasmo del presidente Moratti quando capita che parliamo dei giocatori che sono stato a seguire: il suo obiettivo è sempre stato, e continua a essere, costruire una grande Inter. Anche per questo per me far parte della famiglia dell'Inter è sempre un orgoglio".

Ma in cosa consiste il lavoro di osservatore? "Il sabato e la domenica andiamo in giro per i campi d'Italia, d'Europa e anche del resto del mondo. Quando ci sono le coppe abbiamo anche il viaggio infrasettimanale. Poi scatta la relazione per Marco Branca e Piero Ausilio. Quando ci interessa un giocatore, ovviamente si torna diverse volte a visionarlo. Mi ricordo per esempio che a vedere Maicon a Montecarlo sono stato 7-8 volte, altrettante Bedin, perché quando c'è un interesse non è solo un osservatore a tenere la società aggiornata, si fa un lavoro incrociato".

Un lavoro, quello degli osservatori, che Giacinto Facchetti da presidente ha fatto sì che si sviluppasse notevolmente: "Ci teneva molto, comprendendone l'importanza. Un'importanza che, dopo di lui, ha continuato a essere riconosciuta". Corso si lascia poi andare all'emozione: "Giacinto mi manca molto, come ex compagno, come amico, come tutto. Il rapporto era stupendo. Una persona splendida, di una correttezza unica. Avevamo caratteri differenti ma ci trovavamo comunque bene insieme, non abbiamo mai litigato o discusso. Neanche in campo, anche perché con uno con il fisico come il suo mica si poteva litigare... E poi il problema non si poneva, soprattutto in campo: io gli mettevo palla e mi fermavo, lui andava...".

Da osservatore Corso invece non si ferma mai: "Sabato parto, ci sono dei giocatori da visionare. Dove vado? Non ve lo dico, informazioni riservate. Peccato che non si possa fare altrettanto con l'età...".